Lettere

La morte del Pd è fortemente esagerata, ma serve uno scontro vero

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Bisogna cambiare spesso opinione per restare dello stesso partito, ma bisogna cambiare spesso partito per restare della stessa opinione (Cardinale di Retz, “Memorie”).
Michele Magno

La coerenza, diceva però giustamente Prezzolini, caro Magno, è spesso la virtù degli imbecilli. O no?



Al direttore - Alla mia età sono stato coinvolto in tutte le crisi della filiera Pci-Pds-Ds-Pd perché, per uno strano sortilegio, i travagli di quel partito sono sempre avvenuti in pubblico. Per come si sono messe le cose è bene che il Partito democratico eviti di compiere altri due errori capitali. Cercare nell’onda lunga le ragioni della sconfitta e, nello stesso tempo, avviare una discussione retrospettiva sulle alleanze come se si potesse aggiustare dall’opposizione quanto non si è compiuto al momento opportuno prima della campagna elettorale. In sostanza, è bene non mescolare due storie diverse: il Pd ha perso le elezioni perché ha sfidato gli avversari presentandosi sul campo di gioco con una formazione da calcetto contro una squadra al suo completo, in una partita di campionato di serie A. Guai però se il dibattito congressuale riaprisse questa ferita, senza rendersi conto che la ricerca di un futuro parte da un’attenta verifica del passato. Ciò a partire dal passaggio cruciale del post comunismo, quando gli ex Pci, alla ricerca di redenzione, fingendosi smemorati, scelsero di avventurarsi nella nebbia di un democraticismo vagamente di sinistra anziché rientrare nell’alveo di quel socialismo democratico che è una delle “grandi famiglie” europee e che ha conservato un patrimonio di ideali identitari. La nuova identità che il Pd sta cercando è sempre quella antica: il socialismo democratico. E’ venuto il momento che si avveri la profezia di Turati quando al Congresso di Livorno nel 1921 si rivolse ai suoi avversari con queste parole: “Tutte queste cose voi capirete tra breve e allora il programma, che state faticosamente elaborando e che ci vorreste imporre, vi si modificherà tra le mani e non sarà più che il nostro vecchio programma”. Lo stesso discorso vale per gli ex Dc, che non si sono mai riconosciuti – dopo la fine della Dc – nel filone dell’altra “grande famiglia” del popolarismo europeo. Un’ultima raccomandazione; prima di rottamare l’attuale generazione di dirigenti, è opportuno tener conto di chi viene dopo di loro. Qualsiasi persona sensata – alla vista del livello degli under 35 messi in campo da Enrico Letta come esempio del nuovo che avanza – si precipiterebbe a richiamare in servizio Massimo D’Alema.
Giuliano Cazzola

Il Pd un leader lo aveva. Lo ha fatto fuori. Dopo quel leader ha scelto di non scegliere più leader ma ha scelto di puntare, tranne rarissimi casi, su molti federatori di correnti. Le correnti del Pd, poi, sono diventate uno strumento di potere più che di consenso, e hanno fatto di  tutto per avere, alla guida del partito, più un rappresentante della classe dirigente, delegato a tenerla in vita, che un leader autorizzato a guidare e decidere. Più che una soporifera costituente, ora, serve uno scontro vero, una competizione, una battaglia. La morte del Pd è fortemente esagerata, ma anni fa era esagerata anche la morte dei socialisti francesi, e si è visto come è finita. Good luck.

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