Enrico Letta (Ansa)

Lettere

Il mistero del Pd, alleato dei nemici di Draghi e rivale di chi lo votava

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - La morte del piccolo Archie è per caso un riconoscimento di nuove libertà e più moderni diritti civili?
Giuliano Cazzola


 

Al direttore - Pensare di poter scorrere punto per punto l’agenda di Mario Draghi assieme a chi non ha mai votato la fiducia a Mario Draghi? Ritenere di poter difendere le ragioni atlantiste al fianco di chi odia la Nato e ha votato contro l’invio delle armi all’Ucraina? Credere di poter avviare una politica energetica realistica in compagnia di chi si oppone persino ai rigassificatori? Accreditare l’idea che le libertà minacciate dai “fascisti” siano garantite dai “comunisti”? Aver evitato di scegliere, nel proprio partito, fra draghiani e contiani, capitalisti e anticapitalisti? No, il primo degli errori di Enrico Letta è stato quello di non aver sottoposto al Parlamento una legge elettorale compiutamente proporzionale. Mancò il coraggio, e tutto il resto ne consegue.
Andrea Cangini, senatore di Azione

Ragionamento impeccabile. Resta un problema. Non di poco conto. A cinquanta giorni dal voto la situazione è questa. Da una parte si ragiona su come dare l’impressione di saper governare l’Italia. Dall’altra parte si ragiona su come dare l’impressione di non saper governare una coalizione. Più o meno l’opposto dell’agenda Draghi, che mi pare ci abbia insegnato in questi mesi che i compromessi, anche dolorosi, a volte sono una strada necessaria per poter riformare l’Italia. Ma niente drammi. E in bocca al lupo.


Al direttore - Divisivo, sconsiderato, voltagabbana, fumantino, spavaldo, permaloso, prepotente, superbo, radical chic: l’elenco degli epiteti poco lusinghieri sul conto di Carlo Calenda è ormai lungo come una quaresima. Ma gettargli la croce addosso non può diventare un comodo alibi per esorcizzare una linea contraddittoria e indifendibile, che il suo dietrofront ha reso evidente. Enrico Letta ha giustificato l’esclusione di Giuseppe Conte con la sua scelta di negare la fiducia al governo Draghi, ma ha sottoscritto un accordo con Nicola Fratoianni, il suo acerrimo nemico che il giorno prima aveva perfino votato contro l’ingresso nella Nato di Svezia e Finlandia. Da qui un patto “programmatico” con il leader di Azione e un patto “elettorale” con il segretario di Sinistra italiana, l’uno antitetico all’altro (di chi vuole chiudere l’Ilva non parlo per carità di patria). Alleanze à la carte, insomma, in nome della santa crociata contro la destra parafascista (Indro Montanelli definì il fascismo come il più comico tentativo di instaurare la serietà). Ma un simile ircocervo avrebbe mai  potuto avere qualche chance di successo? Ai contemporanei l’ardua sentenza.
Michele Magno

A proposito di Conte, resta un mistero, grande come una casa: ma se il Pd ha accettato di allearsi con un partito che ha votato 55 volte la sfiducia a Draghi, per quale ragione, visto come si sono messe le cose, non può allearsi con un partito che la fiducia a Draghi l’ha votata 54 volte?