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Il “metodo Monza” per l'area Draghi: una casa nuova, da zero

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Come hai opportunamente sottolineato, la possibile alleanza elettorale fra Matteo Renzi e Carlo Calenda presupporrebbe una riflessione sincera sull’obiettivo da raggiungere. Ma se si guarda davvero agli interessi del paese e alla storia degli ultimi 30 anni, bisogna avere il coraggio di riconoscere che l’unico progetto per il quale varrebbe la pena di impegnarsi è la creazione di un’unica forza politica popolare, liberale e riformista che non abbia timore di sfidare né il Pd né il P-Travaglio e che sia in grado di parlare al paese con un linguaggio di serietà. Per motivi diversi, Renzi e Calenda sono entrambi componenti necessarie di questo progetto: il primo per aver dato vita al governo Draghi consentendoci di superare – con il tempestivo intervento del presidente della Repubblica – una delle fasi politiche più buie della nostra storia, il secondo per aver avviato una iniziativa politica nuova, ponendo in primo piano i contenuti programmatici senza mai abbandonarsi né al fascino della demagogia populista né al piccolo cabotaggio degli accordi di potere. Allo stesso tempo, Renzi e Calenda non ne sono purtroppo delle componenti sufficienti, perché le radici popolari e riformiste del nostro paese trovano linfa vitale anche in quelle forze cattoliche e liberali rimaste da tempo prive di una rappresentanza davvero credibile. Se si vuole davvero discutere di Europa, di politiche economico-sociali capaci di sostenere i salari più modesti, di riforma della giustizia, di innovazione tecnologica e di tutto il resto, l’Italia non può fare a meno dell’eredità del pentapartito, del coraggio di Bettino Craxi e di un’iniziativa ambiziosa che sia aperta a tutti coloro che sono in grado di apportare un contributo effettivo. Di fratelli minori del Pd non credo si avverta invece l’esigenza.
Francesco Compagna 

Fino a quando, però, la destra sarà ostaggio dei vecchi e nuovi populisti, lo spazio che lei giustamente descrive non può che nascere all’interno di un polo nuovo, alternativo, terzo. E la verità è che l’alternativa al progetto di aggregazione tra i soggetti politici che si riconoscono pienamente nell’agenda Draghi, “l’area Draghi” come dice Renzi, è una e soltanto una. E’ il metodo Monza: lasciare il primo amore politico, per il Cav., e costruire una nuova casa, da zero.


Al direttore - La questione è semplice. Per il 2023, stanti così le cose, si pone davanti all’Italia una sorte comunque infausta. Se, più probabilmente, consegnarsi a una destra che fa della chiusura la sua linea portante (sarebbe un governo anti europeo, protezionista, sovranista e con una spiccata simpatia per le peggiori autocrazie del mondo) o se farsi guidare da una sinistra che si è consegnata all’alleanza con un populismo assistenzialista e giustizialista (e con mai totalmente rinnegate venature terzomondiste e bolivariane). In tutti i casi, l’esito delle elezioni cancellerebbe la recuperata credibilità dell’Italia e la probabilità che l’agenda necessaria a ottenere, e spendere utilmente, i fondi del Pnrr si azzerasse sarebbe massima. Potremmo rassegnarci a questa scelta tra una padella sovranista e una brace populista se la vita della nazione e l’elaborazione politica degli italiani si esaurissero in questi due scenari, ma così non è. Siamo uno dei primi paesi esportatori al mondo, un paese la cui manifattura non ha nulla da invidiare a nessuno, con una ricerca di primissimo livello e un capitale umano tra i più rilevanti del pianeta. In questi giorni a Milano si tiene un’edizione stellare del Salone del Mobile che dimostra come l’Italia viva di apertura, di scambi, di un’intelligenza globale, e che questa debba essere la base su cui costruire il nostro futuro: anche per costruire la ricchezza che abbiamo bisogno di redistribuire per sollevare il paese fiaccato dal pandemia, dall’inflazione, dalla guerra. E’ questa l’Italia che Draghi rappresenta in modo iconico e che deve restare tra i protagonisti della scena internazionale. Semplicemente, quest’Italia ha il diritto di essere rappresentata e chiunque – in politica e nella società civile – si riconosca in essa ha davanti a sé l’imperativo morale, oltre che politico, di darle gambe e voce. Renzi ha detto una cosa intelligente: mettiamo da parte i personalismi, portiamola a casa e mettiamo in sicurezza il paese.
Ivan Scalfarotto, deputato di Italia viva e sottosegretario al ministero degli Interni


Al direttore - Bisognerebbe, caro Cerasa, far capire alle conduttrici e ai conduttori dei talk-show che quando, in nome del confronto tra diverse opinioni, concedono ai prosseneti di Putin un grande spazio nei loro programmi, agiscono come se invitassero, insieme all’onnipresente Nicola Gratteri, qualche libero pensatore (se ne troverebbero parecchi) il quale si mettesse a sostenere che, in fondo, le associazioni della malavita organizzata discendono da una lunga tradizione, interpretano l’“anima” e la cultura di interi pezzi d’Italia, creano lavoro, svolgono il compito di intermediazione del credito riciclando denaro sporco in attività economiche lecite; e, tutto sommato, all'apice del loro potere, garantivano anche un certo ordine sociale, in cui ognuno stava al suo posto. Se qualche volta, poi, le mafie dovevano compiere degli omicidi e delle stragi si trattava sempre di una reazione al sentirsi accerchiate, nei loro mandamenti, dalle forze dell’ordine, sulle quali ricadono pertanto tutte le responsabilità di quei  delitti.  A pensarci bene non sono molto diversi gli argomenti  che ci propinano tutte le sere le “quinte colonne” dello zar del Cremlino, per giustificare l’aggressione russa dell’Ucraina. In fondo che cosa è mai la Dia se non una piccola Nato?
Giuliano Cazzola

Paragone spericolato, ma rende l’idea e aiuta a riflettere su un punto cruciale: mettere da parte il senso di colpa dell’occidente e ricordarsi che i criminali, abituali o di guerra, che commettono degli atti efferati, lo fanno non perché provocati ma perché spinti semplicemente da un’ideologia tossica.