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Abbasso gli estremisti dell'ideologia ambientalista. E viva Tinagli

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, come lei ha ben sottolineato nel suo editoriale, la formazione di un centro politico riformista unitario è nuovamente all’ordine del giorno e con una certa urgenza. Finalmente ne parlano con maggiore concretezza anche alcuni dei protagonisti. Molti commentatori sottolineano che la spiccata personalità e le idiosincrasie di questi ultimi sono di ostacolo all’unione delle forze. Tutti noi sappiamo quanto pesano i personalismi in ogni attività e, ancor più, in politica (sia nel bene che nel male), ma, seguendo il suo approccio, voglio fare un paio di considerazioni ottimistiche. Intanto ricordo che la più efficace azione riformista in campo economico fu attuata dai governi centristi guidati da De Gasperi.

Nei successivi 60 anni, nulla ebbe effetti altrettanto profondi e duraturi (neppure le riforme del migliore centrosinistra che pure qualche buon risultato lo ottenne), del resto è noto che di miracoli economici ce ne fu solo uno e quei tassi di sviluppo di reddito e benessere ce li sogniamo. Ebbene, oggi il nuovo De Gasperi è Draghi (forse suo malgrado) e, con alti e bassi, la nuova stagione riformista la sta avviando senza un partito alle spalle. Per quanto riguarda i personalismi, ricordo che i partiti che guidarono le riforme, prima la Democrazia cristiana e poi il Partito socialista, erano tutto tranne che dei monoliti, anzi la loro forza derivava proprio dalla ricchezza di orientamenti diversi e di personalità politiche di alto profilo tra loro spesso in contrasto.

Lo stesso si può dire per la composizione dei governi dell’epoca (si pensi solo al ruolo giocato da un repubblicano come Ugo La Malfa). Ciò rese spesso effimera la durata dei singoli esecutivi, ma non quella delle stagioni politiche e mantenne elevata la qualità dei componenti le compagini ministeriali. La distanza politica tra i protagonisti, dentro i partiti, era spesso assai più pronunciata di quella che oggi possiamo vedere tra Renzi, Calenda, Brunetta, ecc. Quando capiranno questa elementare verità storica, il nuovo centro riformista sarà fatto e forse senza neppure un nuovo fattore coagulante, perché esso c’è già ed è la linea Draghi, con o senza Draghi.
Bruno Bottiglieri

 


 

Al direttore - Unire o non unire Renzi e Calenda, questo è il dilemma. Ha ragione Claudio Cerasa: o si risolve ora il problema, o la nostra democrazia traballerà ancor di più di fronte all’assalto dei populismi. I due leader (passati e futuri?) sono nel giusto nel ritenere che una sinistra riformatrice non può avere alcunché in comune con i Cinque stelle o con i loro residui; e che un moderatismo centrista, qualsiasi cosa incorpori, non potrà che seguitare a recitare un vacuo bla-bla-bla in cui il trio Conte-Salvini-Di Maio è specializzato. La questione non è, come molti ripetono, la formazione di un gruppone centrista mettendo insieme frattaglie magari di sapore vetero democristiano, ma uno sbocco governativo all’insegna di Draghi che, però, non è persona da consumare con la chiacchiera.

La storia della Repubblica, al di là delle periodiche catastrofi, insegna alcune evidenze. Primo. è sempre esistito tra gli elettori un “non-partito” che valeva almeno un 20 per cento del voto che è restio a intrupparsi in una forza di sinistra di derivazione rosso-populista, di destra nero-tradizionalista e anche di centrismo immobilista. La grande mamma democristiana non ci può più essere. Era l’equilibrio che disordinatamente era espresso dall’antico riformismo laico-liberale-socialista, che vive ancora oggi sotterraneo specialmente nell’elettorato urbano. (Vedi il voto di Calenda a Roma). Secondo. La malattia che ha impedito a questo non-partito di divenire un grande partito nei sessant’anni della Repubblica è stato l’individualismo spocchioso dei capi, ciascuno più attento a curare il piccolo gruppo di fedeli piuttosto che guardare all’interesse del paese: Saragat, La Malfa, Malagodi, Craxi e Pannella, tutti grandi personaggi che non si sono mai tollerati  l’un l’altro. Terzo, senza una gamba politica (e un capo anche sotto forma di papa straniero)  qualcosa che possa somigliare a una corposa presenza elettorale autonoma con relativa disciplina, nessun personalismo per quanto brillante avrà respiro.

Oggi Calenda e Renzi rischiano di reiterare a dimensione bonsai quello che i loro indimenticabili predecessori fecero. Allora dagli anni 50 agli 80 del Novecento i piccoli e medi partiti valevano molto perché fungevano da golden share democratico-liberale rispetto alla Dc. Cerasa invoca il miracolo: ecco, noi ci dichiariamo i fedeli le cui preghiere dovrebbero servire a far sciogliere il sangue di san Carlo e san Matteo.  Un saluto, 
Massimo Teodori   

La vera missione impossibile, in questa operazione, è rendere impossibile una missione possibile: sfidare i poli, federare, aggregare, accorpare, non disperdere le energie e considerare il cosa fare prioritario rispetto a chi dovrà mettere il suo volto nel progetto. 

 



Al direttore - La spaccatura nel Parlamento europeo sul voto per il programma Fit for 55 al di là dello scontro fra destra e sinistra è il segno del disagio profondo che è intervenuto dopo lo scatenarsi della crisi energetica e l’impennarsi dei prezzi. Uno dei pilastri della transizione, l’equità, è già saltato e il prezzo più salato lo pagano le famiglie a basso reddito. E’ piuttosto singolare che di questo disagio non si renda conto proprio la sinistra,  che insiste nell’inseguire l’estremismo di Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo per il Green deal europeo. Credo che il voto sia stato anche un voto contro di lui
Chicco Testa

 

Su questo tema non ha torto Carlo Calenda quando dice che l’emendamento che ieri ha scatenato il putiferio, di cui parliamo a pagina tre del nostro giornale, cercava di inasprire ulteriormente i costi per le imprese rispetto a un accordo trovato in commissione Industria, che già da parte sua era molto restrittivo. Per la destra, l’emendamento era troppo severo. Per la sinistra l’emendamento era troppo morbido. Ad aver votato a favore sono stati Ppe, Renew e qualche parlamentare in libertà. Tra questi, dettaglio interessante, c’è anche Irene Tinagli, vicesegretario del Pd, che si è schierata a favore di un principio ben presente nel testo dell’emendamento bocciato: la prevalenza della neutralità tecnologica sull’ideologia ambientalista. Viva Tinagli.