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All'Italia serve un'università che si assuma più responsabilità

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Caro Cerasa, ho letto sul Foglio del 1°  giugno l’articolo “Il reato è il concorso”, “meglio la chiamata diretta”. All’autore dell’articolo (non firmato, ma io so chi è, perché dell’autore conosco idee, stile e tempistica) direi che, se il reato è il concorso, va messa sotto processo la Costituzione, che lo prescrive per funzionari e magistrati e, in generale, per l’accesso ai pubblici uffici. Al direttore del giornale, il quale sembra condividere l’idea che “il fenomeno appare talmente diffuso” che “non c’è bisogno di indagini per percepirlo”, direi che, prima di pubblicarlo, avrebbe dovuto accertare quale fonte avesse l’articolo della Repubblica del 29 maggio “processo all’università”, avendo il suo giornale sempre sostenuto che l’indagato non è colpevole fino alla sentenza e sempre criticato la giustizia mediatica.

All’autore e al direttore insieme direi che concorso vuol dire “competitive examination” e che questo comporta concorrenza, accesso aperto a tutti coloro che abbiano i requisiti per un posto e scelta fondata sul merito da parte di una commissione indipendente e imparziale; che questo avviene nelle università anglosassoni, da una parte e dall’altra dell’Atlantico; che chi non vuole concorsi è assimilabile a chi non vuole le gare per le concessioni balneari; che, una volta dichiarati fuori legge i concorsi in quanto crimini, dovrebbero spiegare come pensano che debbano esser reclutati funzionari e magistrati; che sarebbe utile rileggessero una bella pagina dedicata da John Stuart Mill, nel libro sul “Representative Government” (1863), alla necessità dei concorsi; che, invece di sostenere la necessità di sopprimere i concorsi, dovrebbero impegnarsi a farli funzionare meglio.

Con un caro saluto da un suo affezionato lettore.
Sabino Cassese

Rispondere con successo a una lettera affettuosa ma critica del professor Cassese sull’università è come pensare di poter conquistare un set contro Nadal  sulla terra battuta dall’alto di una grande esperienza con il padel. Ci proviamo lo stesso. Concentrandoci su un punto della sua lettera, caro professore, quello in cui lei dice “che chi non vuole concorsi è assimilabile a chi non vuole le gare per le concessioni balneari”. Mi permetto di dissentire. Non tutti i concorsi sono fatti con i piedi, ci mancherebbe, ma un paese come l’Italia, che avrebbe un grande bisogno di rafforzare la sua cultura del merito, avrebbe bisogno di un’università capace di assumersi maggiori responsabilità.

E nei processi di selezione, siamo convinti che scommettere sull’assunzione diretta garantirebbe molta più trasparenza, in quanto sarebbe espressamente volta a preservare ciò che si tenta di ottenere surrettiziamente con bandi non sempre trasparenti e in quanto costringerebbe gli enti responsabili ad assumersi responsabilità in termini di scelta. Negli Stati Uniti, se non sbaglio, il processo viene chiamato recommendation: i massimi esperti del settore esprimono un giudizio sulle qualità di un ricercatore che è in lizza e chi sbaglia a dare credito a un candidato perde la sua credibilità. Nel privato, di solito, funziona così.  E di solito non funziona così male. Sarebbe bello, caro professore, poterla leggere ancora sul tema. Grazie.

 


 

Al direttore - Ho seguito con interesse il romanzo della Rai, innescato mi pare di capire anche dal vostro giornale. Ho seguito anche con interesse il fallo di frustrazione commesso dall’ad Carlo Fuortes, che ha deciso di togliere le deleghe al direttore Mario Orfeo, in quanto si sarebbe “rotto un rapporto di fiducia”. Ho seguito tutto questo e poi, giovedì, ho letto che l’ad della Rai ha assegnato a un giornalista con cui si è rotto il rapporto di fiducia, ovvero Orfeo, la guida di uno dei più importanti tg nazionali, ovvero il Tg3. Mi chiedo, da cittadino che paga il canone, se devo farmi scrivere jo condor in fronte.
Luca Marini