Enrico Letta celebra la vittoria nelle elezioni s suppletive di Siena (Ansa)

Lettere

Occhio all'euforia, caro Pd. Il partito di Draghi? Una boiata pazzesca

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - I partiti che avranno in futuro maggiori probabilità di successo saranno quelli che riusciranno a intestarsi l’eredità di Draghi: così in sintesi Ella scrive nell’editoriale dell’8 ottobre. Naturalmente, bisognerà attendere che siano completamente definiti, quando si concluderà in un modo o nell’altro, l’azione del governo dell’ex presidente della Bce, i cespiti ereditari, per restare al linguaggio successorio. Ma l’eredità non basta. Essa deve, poi, innestarsi in una formazione politica che abbia propri “fondamentali”. È ben diversa la condizione della Spd di Scholz nei confronti del “de cuius” politico, Angela Merkel; a maggior ragione se Ella prende in esame la Lega che pure ha un sicuro identikit, ma che colliderebbe con il travaso di draghismo. A meno che non si pensi a una sorta di perpetuazione di un partito quasi-unico draghiano. Il primo a non volere una cosa del genere sarebbe, però, proprio l’attuale premier. Con i più cordiali saluti. 
Angelo De Mattia

Il partito di Draghi, come avrebbe detto Paolo Villaggio, è una boiata pazzesca.


 

Al direttore - Come volevasi dimostrare con algoritmi degni di tal nome, cioè quelli che qualificati matematici usano per depurare gli strabilianti numeri politici, dimostrano dati alla mano che la Lega e Fratelli d’Italia stanno tra il 12 e il 14 per cento a livello nazionale, quindi quei 20, 22 per cento che varie testate continuano a somministrarci come certezze si dimostrano cosa veramente sono: “Bufale”.
Con rispetto.

Giuseppe Marcuzzi

I voti alle amministrative si disperdono (molte liste), alle politiche si ricompattano e i partiti, alle politiche, di solito valgono più di quello che valgono alle elezioni locali. Occhio all’euforia, caro Pd.


 

Al direttore - Scompare con Salvatore Veca, un esponente di spicco della cultura filosofica italiana, tra i più autorevoli studiosi di filosofia politica. Veca aveva introdotto in Italia agli inizi degli anni Settanta l’opera di filosofia politica più importante del Novecento: “Una teoria della giustizia” di John Rawls. Salvatore Veca è stato un innovatore della cultura politica della sinistra italiana. Il suo lavoro del 1982, “La società giusta” forniva l’orizzonte teorico in cui collocare una agenda riformista per il paese. Veca sosteneva che il maggiore partito della sinistra italiana, il Pci, dovesse liberarsi da una “costellazione di credenze” che gli impediva di candidarsi alla guida del paese, di rendere possibile un’alternanza di classi dirigenti al governo dell’Italia. Questo il pensiero di Veca già a partire dalla fine degli anni Settanta. Penso al “Saggio sul programma scientifico di Marx” del 1977 che apriva a una prospettiva riformista. Una prospettiva che per Veca mirava a rendere “più giusta o meno ingiusta” la società contemporanea. Una prospettiva che non aveva alcun interesse per una vaga, fumosa e misteriosa “società altra”. Entro la cornice del liberalismo costituzionale e della democrazia politica per Veca era possibile perseguire politiche socialiste che mirassero alla generalizzazione dell’eguale status di cittadinanza, all’equa uguaglianza delle opportunità. Questo era il significato della parola migliorismo. Nella lotta politica interna al Pci ci fu chi, di questa parola fece un termine spregiativo per denigrare quelli che, si sosteneva, si acconciavano all’idea di un mediocre miglioramento delle cose. In realtà l’idea di una società migliore come società giusta implicava una agenda di riforme sociali. Una impresa ardua nel nostro paese. Di questo Veca è stato sempre persuaso. Occorrerà continuare a studiare e riflettere sul patrimonio di idee e di studi che Salvatore ci lascia. Con lui se ne va non solo un grande studioso. Se ne va una persona buona, mite, leale. Uno studioso e una persona che non dimenticheremo.
Umberto Ranieri

Di più su questi argomenti: