(foto Ansa)

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Non ci sarà Rinascimento, ma il dopo pandemia sarà come una primula

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Dopo il semaforo, svolta? 
Giuseppe De Filippi



Al direttore - Alcune personalità si sono messe in fila (con mascherina e distanziamento) per restituire la Legion d’onore allo scopo di ottenere giustizia per Giulio Regeni. Per tutta la vita ho creduto che fosse una prestigiosa decorazione francese. Macron l’ha ceduta per caso all’Egitto?
Giuliano Cazzola 

 

Suggerirei alle personalità che si indignano con la Francia di utilizzare le proprie energie per indignarsi o con l’Egitto o con l’Italia. Gli ambasciatori che portano pena, come si dice, non sono quelli francesi ma, semmai, sono quelli egiziani, e l’idea lanciata la scorsa settimana da Giuliano Ferrara, non solo ritirare il nostro ambasciatore in Egitto ma anche congedare, ritirandogli le credenziali, l’ambasciatore di al Sisi a Roma, è un’idea che un governo desideroso di farsi rispettare dovrebbe far sua. 


 

Al direttore - L’influenza spagnola uccise, tra il 1918 e il 1920, da 50 a 100 milioni di persone, più della somma dei morti della Prima (17 milioni) e della Seconda guerra mondiale (60). Eppure sono 80.000 i libri che si possono sfogliare sulle guerre, sulla Spagnola ce ne saranno al massimo 400. Perché? Secondo Ivan Krastev, in “Is it Tomorrow Yet? Paradoxes of the Pandemic”, recensito dal Financial Times, la ragione è che è difficile descrivere una pandemia come lo scontro del bene e del male; manca una storia e manca una morale. Morire per una malattia invece che per una pallottola non è un atto di patriottismo o un eroico sacrificio, e non se ne può trarre nessun significato più profondo. Proprio così: dal morire di Covid non si può trarre nessun significato, e profonda è solo la sofferenza per arrivarci.
Franco Debenedetti 

 

C’è una simmetria nelle tragedie, per quanto queste possano essere diverse, ed è ciò che succede dopo, una volta che le tragedie tornano a essere un fatto legato alle pagine della storia. Il post tragedie non va visto solo con la chiave della rinascita economica, della curva a V, ma va visto anche con una chiave diversa, se possibile persino culturale. Il Rinascimento arrivò dopo la Peste nera del 1348. Persino l’Illuminismo arrivò dopo la distruzione di Lisbona nel 1755. Si potrebbe dire che dopo la Spagnola il mondo conobbe una tragedia ulteriore, il Nazismo, ma grazie al cielo questa pandemia, a differenza di quella di cento anni fa, sta avendo un effetto del tutto opposto sulla traiettoria del nazionalismo. Non ci sarà il Rinascimento, forse, ma il dopo pandemia sarà come una primula: evento raro, condizioni uniche, forza mai vista, occasione da non sprecare. 



Al direttore - Ho avuto di recente alcune conversazioni con un amico circa il futuro del lavoro aziendale post pandemico, alla luce dell’evoluzione tecnologica. Questa è una sintesi. Prima della Rivoluzione industriale il lavoro era teso a valorizzare il contributo delle persone per la loro forza muscolare. La maggior parte del valore derivava da attività di manipolazione fisica. Poi è arrivata la Rivoluzione industriale, con macchinari che riducevano la predominanza dello sforzo muscolare automatizzandone una parte rilevante. La maggior parte del valore a questo punto derivava dalle attività di manipolazione dei simboli. Valorizzavamo e valorizziamo il contributo delle persone, espresso dal loro cervello. Ora è in corso la rivoluzione digitale, con l’Intelligenza artificiale, i big data e internet che riducono la predominanza dello sforzo cerebrale, automatizzandone una parte rilevante. Ma le macchine sono prive di cuore, di coscienza, di empatia. Valorizzeremo il contributo espresso in cuori delle persone. Abbiamo formato i muscoli per le manipolazioni fisiche, abbiamo formato i cervelli per le manipolazioni dei simboli, dovremo formare i cuori per l’empatia e l’umanità. 
Stefano Quintarelli



Al direttore - Il suo giornale ha ricordato l’ostracismo a cui fu sottoposto Paolo Rossi dopo aver scontato una discutibile  squalifica per una vicenda del Calcioscommesse. Se Bearzot non si fosse imposto per portarlo al Mundial del 1982, la Nazionale non avrebbe mai fatto quell’impresa storica che oggi tutti ricordano commemorando la scomparsa del campione. E’ forse il caso di ricordare che il 25 luglio 2006  la Juventus fu retrocessa in serie B;  le venne revocato lo scudetto del 2004-05; non   le fu assegnato il titolo 2005-06 e  dovette recuperare  una penalizzazione  di 17 punti. Eppure, la Nazionale che dipinse di  azzurro “il cielo sopra Berlino” era formata dai migliori giocatori bianconeri. Ancora una volta il calcio seppe riscattare se stesso.
Giulio Martini 

 

Paolo Rossi come simbolo dell’antimoralismo, sì. Maurizio Crippa lo ha scritto come meglio non si può. “C’è qualcosa di istruttivo nel fatto che l’Italia degli anni Ottanta cambiò, allegra e felicemente strapaesana, per merito di uno che prima i moralisti volevano morto; gli stessi che anni dopo avrebbero voluto morti i politici che degli anni Ottanta fecero l’impresa. L’anno dopo la Coppa arrivò l’Italiano (vero) di Toto Cutugno. Ci volle l’85 perché l’edonismo reaganiano di Arbore disvelasse gli italiani a se stessi. Qualche anno ancora e la prima trasmissione di varietà calcistico l’avrebbe fatta una tv locale, con Walter Zenga ancora portiere e conduttore e Fabio Fazio ancora imitatore. E la sigla di Toto Cutugno. Si chiamava Forza Italia, e vedete un po’ le coincidenze della vita”.

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