Oltre la Raggi che si candida. Buone notizie per il paese

Claudio Cerasa

Le lettere al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Che siano bonus o scontrini va sempre a finire con Raggi candidata.

Giuseppe De Filippi

     

Andrà tutto male, forse, ma nell’oceano di notizie negative, che non fanno ben sperare, e la notizia della Raggi che si ricandida rientra nelle notizie non positive, in giro ci sono anche altre notizie non negative, che fanno ben sperare. Alcune di queste notizie, che riguardano l’economia più che la politica, sono emerse ieri da dati Bankitalia. In giugno i prestiti al settore privato sono cresciuti del 2,3 per cento sui dodici mesi (1,5 per cento in maggio). I prestiti alle famiglie sono aumentati dell’1,6 per cento sui dodici mesi (1,2 in maggio) mentre quelli alle società non finanziarie sono aumentati del 3,7 per cento (1,9 nel mese precedente). E ancora. I depositi del settore privato sono cresciuti del 6 per cento sui dodici mesi (contro il 7,5 in maggio); la raccolta obbligazionaria è diminuita del 3,8 per cento sullo stesso periodo dell'anno precedente (-4,9 in maggio). Se ne deduce una piccola lezione: più l’Italia mostrerà di fidarsi dell’Europa, più gli italiani si fideranno dell’Italia.


              

Al direttore - Leggo che il ministro Gualtieri considera acquisite fra le entrate a copertura di varie spese un aumento delle accise sul gasolio in nome della eliminazione degli incentivi “ambientalmente dannosi”. La cose vanno chiamate con il loro nome: si tratta di un ulteriore aumento della tassazione sui carburanti. Se infatti il problema fosse quello di eliminare la distanza fra l’accisa sulla benzina e quella sul gasolio (10 c.) ci sarebbero due soluzioni molto semplici. La prima: ridurre di 10 c. l’accisa sulla benzina. La seconda: aumentare di 5 c. quella sul gasolio e diminuire di 5 c. quella sulla benzina. Guarda caso se ne sceglie una terza, quella che aumenta il gettito per lo stato e la pressione fiscale. Oltretutto in modo regressivo. Ma non si volevano ridurre le tasse per spingere l’economia?

Chicco Testa


             

Al direttore - Il dibattito sulla “sanità che verrà” sembra arenarsi tra i miliardi del Recovery fund, da spendere, e la margherita del Mes, da sfogliare. Ma pensare solo alla spesa, con una lista vaga nelle sue declinazioni, è un errore, anche perché il Recovery fund riguarda il futuro e sul Mes non ci sono certezze. Ciò che interessa ai medici del Servizio sanitario nazionale (Ssn) è invece il presente, ma essi non compaiono neppure tra le cinque “tracce fondamentali” elencate dal ministro della Salute in una recente intervista al Messaggero. Rimossi, insieme con tutto ciò che li riguarda. Oggi i medici ospedalieri sono una risorsa tanto preziosa quanto scarsa, visto che nemmeno l’epidemia, che pure ha messo in luce la crucialità del loro ruolo, è riuscita a colmare i vuoti aperti nell’ultimo decennio, se non per il 50 per cento e in prevalenza con lavoro precario. Ma pensare a ospedali come semplici infrastrutture e non come contenitori del lavoro e della vita di chi, come i medici, in quei luoghi fisici si identifica, al pari delle comunità locali, è come pensare alla scuola parlando solo di banchi. Manca finora la consapevolezza che la crisi della sanità pubblica si sovrappone e si confonde con la crisi del medico pubblico, sull’orlo di un burnout che lascia spazio solo alla fuga, verso l’estero per i giovani e verso il privato per i meno giovani. Senza soluzioni alla seconda non c’è futuro possibile per la prima. Questo è lo scatto che serve alla sanità, una innovazione profonda della organizzazione e della governance per valorizzare il capitale umano. Se niente sarà come prima, per il personale dipendente del Ssn tutto rischia di essere peggio di prima, non rappresentando una priorità, nemmeno ora. Ma senza medici i presìdi ospedalieri di cui tutti parlano sono destinati a essere quinte teatrali, le nuove tecnologie sulle quali si vuole investire elementi di arredo, il territorio puro riferimento geografico. Eppure, per loro non sono all’ordine del giorno provvedimenti organizzativi che, come accade per altre figure professionali, disegnino una svolta necessaria per la quale non servono risorse economiche ma una merce altrettanto preziosa, per quanto più accessibile, come la volontà politica.

   

Per “separare il passato dal futuro”, per dirla con il ministro Boccia, in sanità occorre sciogliere diversi nodi. Alcuni di sistema, quali gli assetti istituzionali, cioè i correttivi al federalismo resi necessari dalle evidenti diseguaglianze introdotte dalla legislazione concorrente nella esigibilità di un diritto unico e indivisibile quale quello alla salute. E il destino della sanità del sud, aspetto nuovo di una questione vecchia, che richiede nuovi criteri di equilibrio nel riparto del Fsn, come promesso dal ministro, anche se non sarà facile convincere i molti “Rutte” di casa nostra. Senza dimenticare la formazione medica post laurea, vera emergenza nazionale, e il neocolonialismo dell’università che usa l’aumento degli studenti per occupare il mondo ospedaliero. Ma altri riguardano, in maniera specifica e diretta, i medici e i dirigenti sanitari dipendenti. Dal ruolo nei processi gestionali allo stato giuridico, dalle modalità di reclutamento a quelle di retribuzione, dal modello organizzativo in cui collocare il loro lavoro, che del Ssn è valore fondante in quanto a tutela di un bene costituzionale, alla responsabilità professionale da traghettare verso un sistema “no fault” sul modello europeo, nell’attesa dello “scudo Covid” evaporato nelle nebbie della politica. Fino al superamento di un modello di governance che ha prodotto la lacerazione nel rapporto tra professionisti e istituzioni sanitarie. Il processo di aziendalizzazione è fallito senza migliorare la qualità del servizio reso, dopo avere subordinato a interessi clientelari e spartitori anche il riconoscimento del merito e delle competenze professionali, privilegiando la sicurezza dei conti piuttosto che la sicurezza delle cure. Con ospedali trasformati in organizzazioni votate al puro controllo dei costi dei fattori di produzione, i medici sono diventati prestatori di opera, privati del controllo su prerogative importanti della loro professione, come contenuti, autonomia e responsabilità. Per questo occorre ripensare l’attuale governance introducendo forme di partecipazione a modelli organizzativi e operativi che non chiedano ai medici di tirarsi fuori dai codici etici e deontologici, per recuperare un ruolo professionale coerente con la tutela della salute dei cittadini. Occorre una riscrittura del lavoro medico e sanitario per ricostruire un sistema che privilegi, anche nei meccanismi di progressione di carriera, valori professionali rispetto a quelli organizzativi. Inutile un vestito nuovo per cose vecchie. Che senso hanno nuovi investimenti nella ricerca se ai ricercatori si offre solo un precariato stabile, mortificante dal punto di vista giuridico ed economico? Che senso ha destinare ingenti risorse all’edilizia ospedaliera se non si rende attrattivo il lavoro medico negli ospedali? Non basteranno le archistar se non si comprende che il lavoro dei medici del Ssn reclama un diverso valore, anche salariale, diverse collocazioni giuridiche e diversi modelli organizzativi che riportino i medici, e non chi governa il sistema, a decidere sulle necessità del malato. La questione non è riducibile alla sola spesa ma richiede una forte e credibile visione politica. Insomma, i soldi servono ma non sono tutto. Abbiamo le risorse per un piano Marshall della sanità pubblica ma non le idee per i medici pubblici. Che oggi, finita la retorica degli angeli e degli eroi, sono tornati nella invisibilità politica con i problemi di sempre, accentuati. Ma il destino della sanità pubblica non è separabile da quello del medico pubblico. Simul stabunt, simul cadent.

Costantino Troise, presidente nazionale Anaao Assomed

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.