Riaprire le scuole senza riaprire il calcio: incubo francese. Che ci faceva Davigo con Palamara?

Al direttore - Avvisare i greci che non si intendeva pagare con minibot la casa al mare.

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - Per portarmi avanti con il lavoro, ha scritto giustamente su Twitter ieri Stefano Cappellini, “ho salvato il video di Davigo: per quando qualcuno scriverà che non ha mai detto non si aspettano le sentenze”. Caro direttore, l’ho fatto anch’io. Non mi indigno mai. Ma stavolta sì.

Luca Martino

 

Incredibile. Con un’aggiunta da fare. Davigo, in tv, parla di tutto e lo fa sempre evocando il tintinnio delle manette. Ma perché, viene da chiedere, invece che fare il giustiziere non ci parla di cosa voleva fare con il cattivissimo Palamara? Che cosa voleva fare con Palamara? Ve lo racconta oggi Giuseppe Sottile e proviamo a sintetizzarvelo così: Piercamillo Davigo, il purissimo Davigo, aveva lo stesso obiettivo di Palamara, obiettivo condiviso con altri purissimi come Di Matteo. L’obiettivo era evitare che alla procura di Roma, dopo Giuseppe Pignatone, ci andasse un magistrato in continuità con Giuseppe Pignatone. E’ un fatto che il 23 maggio, alla commissione per gli Incarichi direttivi del Csm, Piercamillo Davigo abbia votato per lo stesso candidato alla procura di Roma sognato da Luca Palamara, Marcello Viola, ed è un fatto che quel giorno, per la felicità del Fatto quotidiano che di Viola è stato fiero sostenitore, abbiano dato parere favorevole a Viola anche Antonio Lepre, un magistrato della corrente dell’impresentabile (si scherza) magistrato e senatore del Pd Cosimo Ferri (Magistratura indipendente) e anche il componente laico del M5s al Csm (Fulvio Gigliotti) e quello della Lega (Emanuele Basile). La storia è nota. Unicost (corrente di Palamara) aveva promesso il sostegno a Viola quando la sua candidatura fosse arrivata al plenum e in cambio Unicost avrebbe avuto il ruolo di vice di Viola a Roma proprio con Palamara. Oggi tutti i purissimi si indignano per Palamara. Ma prima di indignarsi i purissimi dovrebbero forse raccontarci se Palamara ha provato a fare tutto ciò solo per un tornaconto personale. La risposta potrebbe essere tanto sorprendente quanto spassosa.

 


 

Al direttore - Dal prossimo settembre l’ora in classe durerà quaranta minuti, mentre quella in fabbrica durerà sempre sessanta minuti. La teoria della relatività ristretta di Einstein ancora una volta è confermata.

Michele Magno

 

Nel frattempo. La Francia ha riaperto le scuole ma non il campionato di calcio. L’Italia ha riaperto il campionato di calcio ma non le scuole. Lavorare con i bambini a casa è dura, lo sappiamo, detto questo: chi farebbe a cambio con la Francia?

 


 

Al direttore - Mentre in queste settimane ci si interroga su quanto sarà dura la crisi economica che esploderà il prossimo autunno, è poca l’attenzione su quello che già sta accadendo. Alcune grandi aziende hanno avviato, nel silenzio, procedure di liquidazione o di concordato; nel mio mondo, quello del retail, la stragrande maggioranza di chi è ancora chiuso rischia di rimanerlo per sempre, mentre chi è tornato in attività sconta grandi difficoltà. Con un calo del fatturato che varia tra il 30 e il 40 per cento e una marginalità intorno all’8-10 per cento molte attività del settore, in assenza di aiuti, sono condannate a morire. Parliamo di un comparto che dà lavoro a 1 milione e 200 mila persone, di cui la metà nella grande distribuzione. Alla luce di questi dati, è comprensibile lo sconcerto per l’esclusione delle grandi imprese da ogni misura prevista dal decreto “Rilancio”. I grandi gruppi sono fuori dal taglio del saldo e acconto Irap di giugno, giustamente definito dal ministro Gualtieri come il più rilevante intervento introdotto per le aziende; non sono coinvolte nell’accesso alle risorse a fondo perduto né rispetto al credito di imposta sugli affitti commerciali. Questo nonostante nei due mesi e mezzo del lockdown il gruppo che guido abbia speso 10 milioni per negozi rimasti chiusi, sui quali per di più, a livello comunale, ci viene chiesto di pagare la tassa per l’asporto di rifiuti che non abbiamo prodotto. Insomma, non abbiamo diritto a nulla. Il paradosso è che quello stesso stato che ha deciso di non aiutarci, di fatto ci ha chiesto di sostituirci a lui nel sostegno ai nostri dipendenti che, a oggi, ancora non hanno ricevuto un euro di cassa integrazione. Noi lo abbiamo fatto, per dovere morale e civile, anticipando loro parte della quattordicesima e pagando giorni di ferie. Sono risorse che abbiamo tolto alle finanze aziendali e che, se le istituzioni avessero fatto la loro parte, avrebbero potuto essere impiegate per altri scopi. Ora non chiediamo allo stato di “ripagarci” sostituendosi a noi, chiediamo solo di metterci in condizione di continuare a lavorare e a dare lavoro, in primis eliminando alcune ingiuste discriminazioni tra cui il credito di imposta sugli affitti. Ci si può confrontare su sgravi fiscali modulati in base alle dimensioni delle imprese, ma non si può procedere a un’esclusione tout court per chi è “colpevole” di produrre di più. Ciò che spero venga compreso presto è che, mai come oggi, aiutare le aziende, anche le più grandi, vuol dire aiutare i lavoratori: siamo sulla stessa barca. Far mancare un adeguato sostegno ai grandi gruppi, che hanno sofferto le conseguenze della pandemia come tutti gli altri attori economici, significa dimenticare milioni di lavoratori e penalizzare le Pmi nostre fornitrici. A questo punto non ci resta che sperare, nel corso della conversione in legge del dl Rilancio, che si ascoltino le esigenze di chi ogni giorno cerca di creare ricchezza per l’intero sistema-paese.

Fabio Pampani, ad Douglas Italia

 


 

Al direttore - Una volta le giovani coppie si sposavano a un’età di poco superiore ai 20 anni. Ormai è da tempo che le giovani generazioni si sposano (pratica un po’ demodée) o si uniscono a un’età media prossima ai 30 anni. Pertanto le giovani coppie avranno avuto il primo figlio (trascurando l’età in cui dovessero avere avuto un secondo figlio) all’età di 32/33 anni. E, di conseguenza, saranno diventati nonni all’età di oltre 60 anni. Vorrei capire la logica di chi ora (regnante il coronavirus) ha concepito il divieto per chi abbia superato i 60 anni di accompagnare i bimbi alla scuola materna (l’asilo). La Regione Liguria sembra si sia accodata alla proposta governativa. Un nonno, per legge, non avrà più la facoltà e l’orgoglio di accompagnare i nipoti. I genitori sono avvertiti e quindi si organizzino! Quello di imporre l’invenzione di un accompagnatore giovanile per i bimbi è forse un modo fantasioso per alleviare il fenomeno della disoccupazione giovanile? Mi sembra peraltro un’innovazione in contrasto con i principi esposti nella nostra Carta costituzionale. Salvo che il governo, notoriamente rispettoso dei suddetti principi, non introduca l’obbligo di “aspettativa” per tutto il personale della scuola (docente o non docente) che avesse superato i 60 anni. Saluti cordiali da un nonno (ahimè, ultrasessantenne).

Gian Paolo Fasoli

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