Gran lezione di Lieberman sull'ipocrisia democratica su Suleimani

Al direttore - Il globalismo universale è impossibile. Poiché è impossibile l’uguaglianza universale che ne deriverebbe. Voce del principio di realtà.

Moreno Lupi

 

L’altra voce del principio di realtà è però questa: per avere più libertà serve più protezione e per avere più protezione non serve più protezionismo ma serve più cooperazione: questo è il neoliberismo e questo è il neoglobalismo. Il resto, come direbbe il vecchio saggio, sono chiacchiere e diversivi.

 


 

Al direttore - Oggi scoprono che a Teheran le folle (quelle pro ayatollah) gridano “Morte all’America, morte a Israele”. In realtà lo fanno da decenni, e tra gli organizzatori c’era sempre stato Qassem Suleimani.

Lucio Malan, senatore di Forza Italia

 

Il Wall Street Journal di ieri ha offerto due spunti ulteriori per farsi un’idea rispetto a quello che sta succedendo in medio oriente, alla luce dell’uccisione di Suleimani. Il primo spunto di riflessione è dato da un editoriale che ricorda come Suleimani fosse “un combattente in guerra contro l’America”, come “le sue battaglie per procura hanno preso di mira le truppe americane undici volte negli ultimi mesi prendendo d’assalto l’ambasciata americana la scorsa settimana” e che “la sua uccisione è stata giustificata dalle leggi di guerra ed è un colpo di deterrenza contro coloro che avrebbero ucciso impunemente altri americani”. Il secondo spunto di riflessione viene offerto da un intervento efficace di Joe Lieberman, ex senatore americano, prima democratico poi indipendente, candidato nel 2000 come vice di Al Gore nella corsa alla presidenza e sostenitore otto anni dopo della corsa alla Casa Bianca di John McCain. Lieberman si pone una domanda semplice: perché i candidati del Partito democratico americano non possono semplicemente ammettere che la morte di Qassem Suleimani rende gli americani più sicuri? Lieberman dice che l’ordine del presidente Trump di far fuori Suleimani era “moralmente, costituzionalmente e strategicamente corretto” e che quell’intervento “meriterebbe un sostegno più trasversale rispetto a quello ricevuto finora”. “Alcuni democratici – scrive Lieberman – dicono che l’uccisione di Suleimani ci porterà alla guerra con l’Iran. Io penso che sia più probabile il contrario: che la sua morte faccia diminuire le possibilità di un conflitto più ampio perché la dimostrazione della nostra volontà di ucciderlo darà ai leader iraniani (e probabilmente anche ad altri come Kim Jong Un) buone ragioni per ponderare bene le loro azioni in futuro”. Lieberman ricorda poi come in molte occasioni, in passato, anche il presidente Obama ha ordinato, “in modo sensato”, attacchi con droni contro pericolosi leader terroristici, tra cui Anwar al Awlaki, un imam statunitense naturalizzato yemenita che venne inserito nel 2010 nell’elenco della persone che la Cia era autorizzata a uccidere a causa della sua attività terroristica e che venne ucciso in Yemen il 30 settembre 2011 all’età di 40 anni nel corso di un attacco avvenuto sempre via drone, organizzato dal Comando congiunto delle operazioni speciali sotto la supervisione della Cia. In quell’occasione, l’intervento avvenne senza una specifica autorizzazione del Congresso e senza una significativa opposizione democratica. “Su questo punto, i democratici dovrebbero mettere da parte la politica partigiana e qualunque sia la loro opinione del presidente Trump dovrebbero schierarsi insieme contro l’Iran e contro leader pericolosi come Qassem Suleimani”. Vale per i democratici americani e vale anche per i democratici di tutto il mondo, anche ieri (Macron a parte) non hanno trovato il modo di dire parole chiare sull’escalation di violenza che arriva non dagli Stati Uniti ma dall’Iran degli ayatollah.

 


 

Al direttore - Caro Cerasa il debito pubblico a dicembre ha raggiunto la cifra record della storia repubblicana del 135,7 per cento del Pil. Se non avessimo questo enorme fardello ogni anno, non saremmo costretti a subire le manovre fatte di aumenti di imposte e drastici tagli alla spesa corrente e agli investimenti. Se non ci fosse questo peso, lo stato potrebbe destinare risorse a potenziare le infrastrutture, a rendere efficienti i servizi sociali e a creare nuova occupazione investendo su innovazione e sviluppo. E’ fondamentale che ognuno di noi sappia riconoscere il problema in modo da essere parte attiva con il voto nell’accettare le ricette di chi ci governa. Servono politiche serie. Non si possono più accettare rincorse a racimolare gettito, tagli di spese alla rinfusa o manovre senza criterio. Capiamo che solo riforme strutturali che alzino il tasso di crescita possono ottenere risultati. Ricordiamoci che quando il debito supera di gran lunga il prodotto interno lordo, vuol dire che il reddito prodotto in un anno non è sufficiente a sostenere il debito, e quindi le speculazioni sono dietro l’angolo e la conseguenza è un’iniqua redistribuzione della ricchezza distogliendo molte risorse agli investimenti.

Andrea Zirilli

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