È il disimpegno che porta alla guerra
Con Trump e i suoi al timone non si può stare al senso ordinario delle cose neppure quando è fatta la cosa giusta. Ma i venti di guerra non nascono a causa delle azioni di prevenzione: nascono dall’immobilismo. E’ il momento per tutti di riconoscerlo
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È tutto vero quel che mezza America dice di Trump. Illuso, narcisista, erratico, le intimidazioni di questo leader non sembrano deterrenza razionale, con uso della forza, e spesso sortiscono risultati opposti a quelli delle politiche di dissuasione. È successo con la Corea del Nord, minacciata di polverizzazione e pimpante nei suoi nuovi, minacciati esperimenti nucleari. Sta succedendo con la Cina, contro la quale il protezionismo tariffario ha spuntato al massimo un sulfureo e incerto negoziato. Quando si arriva alla minacciata distruzione del sito di Persepoli, che ha richiesto la smentita del Pentagono, si vede che il retroterra della decisione di eliminare Suleimani entro una catena di provocazioni sempre maggiori, come atto preventivo di guerra al terrorismo internazionale, è solforoso, viscido, un’affermazione di potenza tecnica fino a ora senza precedenti e susseguenti capaci di spiegarla come strategia di stabilizzazione e di rovesciamento delle dinamiche del terrore in Medio Oriente. Con Trump e i suoi al timone non si può stare al senso ordinario delle cose nemmeno quando è fatta la cosa che appare giusta. Tutto è caotico, i tempi, le circostanze, il linguaggio, i rapporti interni che generano gli atti di potere nella politica estera e di sicurezza. Twitter è la grande novità mefistofelica nel linguaggio della politica, nella sua durezza, brevità aforistica, nel suo essere un’arma rapida di distrazione e distruzione potenziale di massa. Regolarsi sistematicamente sui tempi dei post e sulla loro drammatica asciuttezza è già un porsi fuori di un qualsiasi ordine costituzionale, l’esercizio di una dittatura mediatico-politica più che l’uso razionale delle prerogative dell’esecutivo.
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- Giuliano Ferrara Fondatore
"Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.