Di Maio e la fine del Mes. I voti orribili dell'Italia all'Onu su Israele

Le lettere al direttore del 20 novembre 2019

Al direttore - Si sapeva, Di Maio ha trovato come arrivare alla fine del Mes.

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Si può, si può, si può? No, non si può. Ma tutto iniziò con Mani pulite, quando la politica ritenne di consegnarsi a una funzione dello stato per combattere il sogno liberale di Berlusconi, in nome di una palingenesi morale della società italiana. Ce ne accorgiamo solo ora che non si può? Pro veritate, Claudio Cerasa scrisse “Le catene della sinistra”. Era chiaramente esposta l’impossibilità del credo marxista, di poter guidare l’evolversi inarrestabile della modernità e del progresso civile. Gli interessi terreni, materiali, che aveva costruito, roba grossa e ramificata, ubiquitaria e trasversale, difesa con le unghie e coi denti, si sono sempre opposti a una evoluzione culturale del Credo. Fenomeno che maxime da noi, ha trovato, issando la bandiera della questione morale, Grillo viene da lì, lo spazio culturale e sociale che hanno reso possibile la sua sopravvivenza. I costrutti generazionali postulano che occorrano altrettante generazioni, per invertirli.

Moreno Lupi

 

All’orrore della repubblica fondata più sulle procure che sul lavoro si è aggiunto negli ultimi giorni un altro orrore che ha segnalato ieri su queste colonne Giulio Meotti. La storia è incredibile e vale la pena raccontarla di nuovo. Venerdì scorso la quarta commissione dell’Assemblea generale dell’Onu ha votato otto mozioni contro Israele. All’interno di queste mozioni, gli stati che si sono espressi a favore hanno votato per punire le “azioni israeliane che sconvolgono i diritti umani palestinesi”, hanno votato contro gli “insediamenti israeliani”, hanno votato contro la “Gerusalemme occupata”, hanno denunciato persino (!) “il Golan siriano occupato”. In nessuna di queste mozioni si è parlato del Jihad islamico palestinese e uno dei pochi volti di spicco ad avere difeso Israele alle Nazioni Unite è stata l’ambasciatrice americana all’Onu, Kelly Craft, che ha detto: “La quarta commissione Onu ha appena adottato otto risoluzioni che colpiscono Israele, sono scoraggiata da questo assalto alla pace e da molti alleati degli Stati Uniti”. Il dato scoraggiante è che mentre Stati Uniti, Canada e Australia hanno votato contro le otto risoluzioni anti israeliane, l’Italia ha scelto di votare a favore di tutte le risoluzioni. Per combattere l’antisemitismo e non banalizzarlo prima ancora di votare per le commissioni Segre forse bisognerebbe ripartire da qui. Più fatti, meno chiacchiere.


  

Al direttore - Si ripete un giudizio favorevole sulla cosiddetta apertura che il ministro delle Finanze tedesco Olaf Scholz avrebbe fatto a proposito dell’avanzamento del progetto di Unione bancaria con riferimento all’assicurazione europea dei depositi. Invece, bisognerebbe ricorrere al classico “Timeo Danaos et dona ferentes”, considerato che uno dei pilastri della proposta, la quale solo in parte limitata collettivizzerebbe i rischi delle banche a livello europeo, è l’attribuzione di un coefficiente di rischio agli investimenti in titoli pubblici da dedurre dai giudizi delle agenzie di rating. E’ facile immaginare le conseguenze che ne discenderebbero per un numero non irrilevante di paesi fra i quali pure l’Italia. Una cosa è rilevare che il mondo teutonico “eppur si muove”, altro è tacere su quel che sarebbe assolutamente inaccettabile, a maggior ragione perché componente essenziale della proposta. Lo stesso si dica per la riforma del Meccanismo europeo di stabilità che sottoporrebbe a previa ristrutturazione il debito di quei paesi che chiedessero prestiti al Meccanismo, ma non rispettassero il Patto di stabilità o fossero sottoposti a procedure per deficit eccessivo. La conseguenza sarebbe l’accentuazione dei problemi dei paesi richiedenti. E’ sperabile che il governo, se dura e affronta i passaggi assai complessi della vicenda Ilva e della sessione di bilancio, si concentri, nelle sedi comunitarie, su questi corposi problemi? Grazie.

Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia


 

Al direttore - In seguito alla lettura su Avvenire dell’intervista al cardinal Bassetti dal titolo “E’ l’ora dei laici responsabili. In politica serve una nuova presenza”, ho sentito il dovere di scriverle. Sono una cattolica praticante che non solo ha votato senza scendere a compromessi, ma da ormai tre anni si impegna per il bene comune. Il cardinale Bassetti ha riepilogato molto bene ciò di cui oggi non solo la chiesa ma l’Italia tutta ha bisogno: laici responsabili che non facciano solo convegni, conferenze, manifestazioni, ma scendano in politica, dove finora abbiamo visto l’avvicendarsi di tanti Zaccheo. Il 9 novembre 1989 cadde il Muro di Berlino e con esso il comunismo e tutti i partiti che erano nati come diga al comunismo stesso (Democrazia cristiana, Partito socialista, Partito liberale, Partito socialdemocratico, Partito repubblicano). Il discorso di san Giovanni Paolo II a Varsavia nel 1979 si racchiude in una singola frase: “Non si può escludere Cristo dalla storia dell’uomo in qualsiasi parte del globo, e su qualsiasi longitudine e latitudine geografica: l’esclusione di Cristo dalla storia dell’uomo è un atto contro l’uomo”. In trent’anni cosa è cambiato con la fine del comunismo? Abbiamo dato vita in politica a un’esperienza fallimentare e cioè che i cattolici presenti nei vari schieramenti da sale, lievito per far fermentare la massa, sono stati occultati. Il buon politico deve essere radicato a Cristo con operosità e preghiera, senza scendere a compromessi e oggi, purtroppo, assistiamo a mali minori che hanno portato alla deriva: unioni civili, divorzio-lampo, Dat, triptorelina gratuita, adozione di bambini agli omosessuali, insegnamento gender nelle scuole. Da tre anni è nato il Popolo della famiglia, dal basso, dal popolo che non si riconosce più rappresentato né dalla destra, né dalla sinistra. Il popolo della famiglia si è presentato alle elezioni politiche, europee, amministrative, raccogliendo lo 0,7 per cento senza alcun contributo, senza alcuna pubblicità e con il silenzio mediatico o qualche riga qua e là. Senza un soldo, a mani nude ci siamo presentati per difendere la vita, la famiglia e la libertà educativa che in questi anni non abbiamo più visto difendere da nessuno. Le nostra fondamenta? Sono la dottrina sociale della chiesa. Il nostro programma? Difendere i princìpi non negoziabili. Non siamo ancora in Parlamento ma presentiamo proposte attuabili da subito come il reddito di maternità. Stiamo portando avanti anche un discorso culturale attraverso incontri e convegni per far conoscere il dramma di una cultura della morte che sta distruggendo le nostre radici cristiane.

Lucianella Presta


  

Al direttore - Nell’edizione del 19 novembre a pagina tre il Foglio riporta il seguente articolo: “Chi è Talarico candidato in Calabria per la corrente Conte”. Preciso quanto segue: l’articolo riporta nel titolo dichiarazioni strumentali non veritiere, inconsistenti e ingannevoli. Di fatto non ho mai dichiarato di appartenere a nessuna presunta corrente del presidente Conte, o appartenenza a qualsiasi organizzazione politica. La mia autocandidatura nasce civica come ribadito alla Sua collaboratrice. Trattandosi di affermazioni potenzialmente lesive della mia reputazione, vi invito a effettuare una smentita categorica e una rettifica.

Maurizio Talarico

  

“Corrente Conte”, come abbiamo scritto ieri, “nel senso del riferimento ideale al premier alla sua seconda prova a Palazzo Chigi”. Lei stesso, caro Talarico, ci ha raccontato, avendo tra i suoi illustri clienti il presidente Conte, al quale a quanto pare è stato proprio lei a insegnare a piegare in modo illustre il fazzoletto da tasca in modo che emergano quattro punte, che da candidato potrebbe avere un “canale privilegiato di dialogo”. Registriamo la sua rettifica e le facciamo molti auguri.

Di più su questi argomenti: