Giudici che si occupano di morale e non solo di penale. Scrive Capua

Le lettere al direttore del 15 novembre 2019

Al direttore - Lei, e più avanti capirà di chi sto parlando, è una forza, una meraviglia, una di quelle che aiuta tutti anche chi non le crede o non la rispetta. E’ soprattutto propositiva, quasi vulcanica, apre strade e permette di immaginare scenari nuovi, necessari o improbabili. Direi che va presa sul serio, perché altrimenti può diventare pericolosa. Purtroppo alcuni la considerano passata di moda, sostituibile – diciamo vintage. Ad alcuni sembra una incomprensibile – si afferma con prepotenza e lascia spesso sbigottiti. E poi, soprattutto lei dice cose che non vogliamo sentirci dire, sottolinea alcuni errori e ci implora di essere sempre più attenti. Trasporta una scia di segnali che saranno il profumo del futuro. Lei è costituita dal pensiero, dallo studio e dall’analisi critica. E’ alimentata dalla creatività e dalla ricerca del limite. E’ perennemente in evoluzione perché ogni giorno supera se stessa, aggiungendo impalpabili strati di conoscenza che la arricchiscono e la abbelliscono. Ma siamo noi che la teniamo in vita, che la nutriamo di energie e di sostanza, dell’oro grigio brillante che cresciamo, formiamo o ospitiamo e che è disseminato nei centri di ricerca di tutto il mondo. E siamo sempre noi, cittadini e ricercatori che dobbiamo sostenerla in questo complicato passaggio della sua esistenza. Fino a oggi l’abbiamo vestita male, linee troppo squadrate, dure, troppi numeri, troppi arzigogoli complicati che non sembrano più merletti ma un intreccio di spine. Molti – troppi – la schivano. Non piace, spaventa. Credo che se la accompagnassimo verso il domani con un vestito tutto nuovo, magari firmato da Andrea Bocelli e Giorgia potrebbe succedere un’altra meraviglia. Un abito musicale, splendido ed emozionante potrebbe avvolgerla e sottolineare i suoi lati più morbidi e lucenti come la sua capacità ispirazionale e la passione che genera. E’ questa la scienza che dobbiamo imparare a raccontare. Segnatevi questo hashtag nel cuore: #BeautifulScience.

Ilaria Capua

 

Uno non vale uno. Grazie.


  

Al direttore - “Lara Comi nonostante la giovane età ha dimostrato doti criminali non comuni” scrive il gip di Milano nel motivare gli arresti domiciliari per Lara Comi. Se tanto mi dà tanto non sappiamo cosa avrebbe scritto il giudice in relazione a Riina e Provenzano. Ormai sembra diventata una moda l’utilizzo nei provvedimenti giudiziari di un linguaggio spropositato e moraleggiante, con gli autori che sanno bene quali parole saranno poi usate per far titolo sui giornali, contribuendo a quel processo mediatico che precede l’inchiesta e l’appuntamento in un’aula di tribunale. Ma stavolta nel caso Comi c’è un ulteriore di più, perché se l’ex europarlamentare di Forza Italia ha commesso i reati che le vengono addebitati, lo avrebbe fatto in modo affatto subdolo. Anzi, copiano da fonti aperte, dal web, tipo la tesi di laurea di uno studente di Avellino e dal sito della Casaleggio Associati, per poi rivendersi il contenuto come consulenza. Insomma al contrario della tesi sostenuta dalla procura sulla quale il gip ha rincarato la dose, l’indagata avrebbe fatto di tutto per essere scoperta nelle sue azioni illecite. Ma i giudici quando esagerano dovrebbero ricordarsi di quanto emerso l’estate scorsa con il “mercato delle vacche” del Csm sparito dalle pagine dei giornali con la complicità degli stessi. Era emerso che a livello di questioni di potere e di sottopotere i magistrati non sono meglio dei politici da loro censurati a tamburo battente. Ma essendo il caso Csm finito nel dimenticatoio, i giudici sono ritornati in cattedra a spiegare come dovrebbe andare il mondo nel caso fosse da loro governato. Ultima annotazione: pure l’inchiesta “mensa dei poveri” poteva essere fatta con gli indagati a piede libero. Ma non avrebbe avuto lo stesso appeal sui media. E tornano in mente le parole dell’avvocato Grazia Volo ai tempi della farsa di Mani pulite. E cioè che molti magistrati agiscono come se la loro funzione comportasse anche l’incarico di caporedattore nei quotidiani del mandamento giudiziario.

Frank Cimini

 

È la caratteristica dei “bignè giudiziari”, come raccontato dall’ex procuratore di Prato Piero Tony in una chiacchierata con chi scrive. Il bignè giudiziario di solito funziona così: “Tu procuratore ricevi dodicimila pagine di intercettazioni, le inserisci integralmente nella richiesta di custodia cautelare, perché il copia-incolla è pure molto comodo, poi te le ritrovi nell’ordinanza del giudice per le indagini preliminari. Anche se alcune di queste intercettazioni non hanno alcun rilievo penale e coinvolgono la privacy di persone estranee sai perfettamente che grazie al metodo del copia-incolla rimarrà tutto lì: a ingrossare il fascicolo e a regalare qualche ottimo bignè ai giornalisti”. Se le intercettazioni non bastano, e ti vuoi guadagnare il titolo in prima pagina, puoi anche arrivare a fare di più: offrire ai giornalisti direttamente le parole da utilizzare non solo per descrivere ciò che riguarda la sfera del codice penale ma anche per descrivere ciò che riguarda la sfera del codice morale.


  

Al direttore - Leggo sul Foglio, giornale per me di culto per indipendenza e modernità di linguaggio, vari e interessanti commenti sulle riflessioni “milanesi” del ministro Provenzano. Ne approfitto per svolgere due rapidi pensieri. Confidando nella sua ospitalità. Capone è un intelligente e affilato osservatore delle condizioni nelle quali vive il paese con le sue obbligazioni, i suoi limiti, le sue ossessioni. Le considerazioni che riserva alla sortita del ministro Provenzano (e, sullo sfondo, alla filosofia della Svimez cui bisogna tuttavia riconoscere un linguaggio che appartiene alla osservazione scientifica e non alla polemica politica) meriterebbero due rapide chiose. La prima. Il ragionamento del ministro non voleva (né poteva, per formazione intellettuale) essere di natura “risarcitoria” ma si iscriveva in una querelle che si va sviluppando in sede accademica fra alcuni “elevati” ambienti della Bocconi e la intellettualità meridionalista più avvertita. Due interlocutori di rilievo ne sono stati il prof. Tabellini e il prof. Giannola, presidente della Svimez. Una querelle che, in soldoni (ma la trama è più raffinata), sostiene che le ragioni di Milano in quanto risorsa globale meriterebbero di essere sostenute al di là, forse anche contro le urgenze rivendicate da Napoli, ignorandone perciò il ruolo di capitale euromediterranea. Tesi cui si replica rammentando l’interesse nazionale ed europeo a valorizzare le due capitali come risorse storiche e simboliche che congiurano a conferire forza competitiva al sistema paese. Il meridionalismo è tutt’altra cosa dal sudismo. Al di là del diverso orizzonte storico e intellettuale esso si avvale di una capacità di sguardo che va oltre la “territorialistica” degli interessi che vanno invece inscritti in una lettura globale del mondo che cambia e del ruolo che l’Italia (sud necessariamente compreso) è chiamata a giocare. Milano e Napoli sono simbiotiche e complementari sia pure per ruoli e significati diversi. Ma a patto di assumerle in una visione che trascenda arcaiche contrapposizioni, per valersi della essenzialità del tratto connettivo che nel bene e nel male tiene insieme le due Italie. Infine, sulla “contabilità” del dare e avere. Cui è stata ridotta finora una discussione che nutre certamente ambizioni più alte. Le migrazioni intellettuali hanno certamente giovato al nord e penalizzato il sud. Perciò il tema dei “costi” che il sud paga e di cui il nord si giova assume indubbia rilevanza. Ma sarebbe giusto asserire che esso non dovrebbe essere rivendicato in termini di “restituzione” o di risarcimento, se mai ripensato nella simmetria della disputa, che Capone richiama, relativa al cosiddetto “regionalismo differenziato”. Una conflittualità che ha per posta appunto la “territorializzazione” delle ragioni e delle dinamiche di una ricchezza cui partecipano fattori e risorse che vengono dal “profondo” del paese reale. Una questione che non è di economia domestica ma di “economia civile”, almeno come la intendeva il filone meridionalista del migliore illuminismo dei Genovesi, Vico e Filangieri. Questione questa di solare evidenza che dovrebbe essere trattata con serenità. In una partita a somma zero che, una volta perduta per il paese, non lascerebbe né “sommersi né salvati”.

Vincenzo Viti, Consigliere di Amministrazione Svimez

 

Risponde Luciano Capone: Non mi è chiaro il filo del discorso, se cioè il tema sollevato dal ministro Provenzano o dalla Svimez sia la polarizzazione centro-periferia (“Milano che fagocita lo sviluppo attorno a sé”) o il divario nord-sud (Milano vs Napoli). Se cioè si vogliano correggere le presunte storture del modello Milano o se lo si voglia replicare a Napoli in modo che fagociti, senza restituire, le aree limitrofe (a quel punto da irpino potrei pretendere un ristoro da Napoli?). In ogni caso, il dibattito internazionale più recente sull’agglomerazione economica mostra che gli interventi pubblici possono avere effetti nulli o controproducenti. Nel caso italiano c’è solida evidenza che le politiche per il sud non hanno funzionato. Quali sono gli elementi di novità che invece possono convincerci che una maggiore redistribuzione si associ a una crescita dei territori in ritardo, e non a un ulteriore indebolimento del settore produttivo? Perché per la Svimez questa volta dovrebbe essere diverso?

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