L'endorsement di Trump per Giuseppi è una mazzata per il Capitano

Al direttore - Pluralismo e discontinuità: Giuseppi.

Giuseppe De Filippi

 

Il tweet di Donald Trump, caro Giuseppi, è un tweet formidabile perché mette di fronte a Matteo Salvini l’amara verità dei fatti: se anche i suoi amici lo abbandonano, se anche l’internazionale sovranista si sgretola, è perché l’estremismo alla fine intrappola i leader estremisti. Trump non ama certo Bruxelles e non è certo un tifoso dell’Europa ma dovendo scegliere tra un leader che dice di sentirsi a casa più a Mosca che a Bruxelles (Salvini) e un governo che promette di sentirsi a casa più a Washington che a Mosca (il Bisconte) la scelta, con tutto il rispetto per il caro amico Vladimir, non poteva che essere quella: goodbye, Capitano.

 


 

Al direttore - Se il più epico ed eroico degli obiettivi di un’opposizione, senza attributi, era evitare il voto subito (procedura democratica che qui, poco scaltramente, molti presentano come plebiscito del popolo bue e Marcia su Roma 2.0) si poteva almeno evitare il governo purchessia. E provare a tener duro su una gamma di soluzioni, che Mattarella, se non si fosse aderito subito al “lodo Bettini” (quello di Maduro, sì) avrebbe dovuto considerare (governi tecnici, governi istituzionali, governi ponte, monocolori 5 stelle e via inventando). Invece ci si è, eroicamente, arresi ai primi starnuti di Bettini. Mi piacerebbe conoscere, al riguardo, le risposte di Renzi, Casini e, anche di Gianni Letta (zio) e del Cav. Perché si è voluto, invece di una soluzione di compromesso, aderire tutti alla “trappola” per il Pd (il lodo Bettini)? L’ultima cosa da non fare, poi, era un ribaltoncino mediocre. E, per di più, secondo cedimento, guidato da un italianissimo Alberto Sordi (con la voce di Tina Pica)  che nemmeno la virulenta difesa del mio amico Giuliano riesce a farmi apprezzare. Ha trattato con Bruxelles? Certo dopo averci portato in infrazione. E mancava pure che non trattasse una resa dovuta dopo mesi di scemenze. Quale eroismo? Apprezzo, e faccio mie, caro direttore, infine, le sue aspettative per le sorti della destra non truce. Vedremo. Ma perché l’Italia, per queste lodevoli aspettative speranzose, debba pagare il pegno e il pedaggio di un governo similpopulista proprio non lo capisco. Lei mi dirà: ma l’alternativa era il truce. Non lo so. Lei me lo dice da giorni. Le vie del Signore, lei mi insegna,  non sono  infinite ma qualche soluzione al truce meno truce di un truce bisConte  forse  c’era. Ora inviterei,  magari da dopodomani, a lasciare però ai non invidiabili funzionari del Pd questa  pezza a colori dello scampato pericolo. Non so per quanto ancora reggerà. E per quanto ancora reggerà la cantilena che, per lo scampato pericolo, dobbiamo esultare all’arte dell’arrangiarsi di un Franceschini, il vero vincitore di questa mediocre, democristianissima (delle quarte fasce della grande Dc) e italianissima tornata agostana. Dove ci tocca scegliere tra la Marcia su Roma e un giro in auto blu. Lo dico da napoletano che conosce i suoi polli. 

Umberto Minopoli

 


 

Al direttore - Matteo Salvini, nel perorare il perdono per esseri dato il vaffa da solo, ricorda il sacro romano imperatore Enrico IV di Franconia che girò per tre giorni intorno al Castello di Canossa, dove era ospite il Papa che lo aveva scomunicato. Non si capisce però a chi affidare – nella mia ricostruzione molto approssimativa – il ruolo di Matilde, la castellana che intercedette a favore di Enrico presso il Pontefice Gregorio VII.

Giuliano Cazzola

 


 

Al direttore - Il cappellano di Poggioreale don Ciccio Esposito non sarebbe male come ministro della Giustizia.

Frank Cimini

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