La tassa più pesante e odiosa del governo è la demonizzazione del futuro

Al direttore - Dopo obbligo flessibile tocca ai clochard indoor.

Giuseppe De Filippi


  

Al direttore - Caro Cerasa, leggevo un’intervista a Davide Casaleggio e ci sono un paio di punti su cui volevo riflettere con Lei. Afferma che il “reddito di cittadinanza è una misura che sostiene l’occupazione attraverso la formazione” e aggiunge che “con l’avvento di nuove tecnologie, occorrerà istituire dei meccanismi di redistribuzione del reddito svincolati dall’occupazione che supportino la domanda, altrimenti avremo la massima produttività e consumatori con sempre meno capacità di spesa. Intendiamo il reddito di cittadinanza come un passo verso la redistribuzione alla comunità dell’iperproduttività delle imprese”. Il futuro del lavoro non si affronta con misura di assistenzialismo: per le nuove competenze che serviranno per la rivoluzione di cui parla nell’intervista, serve un sistema di formazione adeguato per cui l’istruzione, la formazione ed il lavoro siano processi che si completino. La scuola deve avere un ruolo importante per costruire le competenze che mancano. Ma poi è necessario che il mondo della scuola e del lavoro si completino per un futuro diverso fatto non solo di sapere, ma di saper fare. Piuttosto che puntare sul reddito, servirebbe non ridimensionare l’alternanza come ha fatto il governo. Il secondo punto su cui riflettere è quando afferma che l’Italia dovrebbe “offrire le condizioni per la nascita dei Google e Facebook del futuro”. Ma anche qui il governo, zavorra con le tasse gli attuali e ne limita pesantemente l’attività attraverso delle norme anticoncorrenza.

Andrea Zirilli

   

La demonizzazione del futuro è forse la tassa più pesante, e più odiosa, che questo branco di simpatici incapaci sta imponendo al nostro povero paese.


   

Al direttore - Se le pene devono essere eseguite secondo i modi e i princìpi indicati dalla Costituzione e dalle leggi, mi pare che nel caso Battisti quantomeno le seguenti norme siano state ignorate: - Art. 114 del codice di procedura penale 6 bis. “E’ vietata la pubblicazione dell’immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all’uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta”; - Art. 42 bis o.p.: “Nelle traduzioni sono adottate le opportune cautele per proteggere i soggetti tradotti dalla curiosità del pubblico e da ogni specie di pubblicità, nonché per evitare a essi inutili disagi. L’inosservanza della presente disposizione costituisce comportamento valutabile ai fini disciplinari”; - Art. 32 delle European prison rules del Coe: “Mentre i prigionieri vengono trasferiti da o verso una prigione, o in altri luoghi come tribunale o ospedale, devono essere esposti al pubblico il meno possibile e devono essere adottate adeguate cautele per assicurare il loro anonimato”; - Art. 73 delle Mandela rules delle Nazioni Unite precisa che “devono essere adottate misure di sicurezza adeguate per proteggerli da insulti, curiosità e pubblicità in qualsiasi forma”. Serve ricordare che nessuna autorità amministrativa, tanto meno politica, può derogare a queste disposizioni?

Giuseppe Caputo


   

Al direttore - Salvatore Merlo, sul Foglio di lunedì 14 gennaio, mi confonde con Antonio Ricci. Besugo d’un besugo! Io non sono Antonio Ricci, io sono un pupazzo. Sono nato il primo ottobre 1990: in giro c’erano Giuliano Ferrara, Vittorio Sgarbi, Funari, Santoro e Cossiga. Questi “nuovi mostri” avevano trovato urlando la scorciatoia per entrare nelle case dei telespettatori. Chi poteva rappresentarli meglio, questi populisti catodici (forse futuri dittatori), di un pupazzone rosso che, con gli occhi fuori dalla testa, bercia: “Vergogna!” e “Ti spacco la faccia!”? Io sono la pancia: non parlo, rutto. Voglio significare che in tv qualunque banale pupazzo, se bercia o arringa moraleggiando, può ottenere il massimo della credibilità e popolarità. Merlo questo sembra non capirlo e crede che io sia l’alter ego del più raffinato Antonio Ricci. Io invece sono parodia (la parodia primigenia di tutti i populismi) e troppo spesso sono costretto a spiegarlo. Anche al Foglio, dove, forse a causa della sicilianità imperante, sembrate fermi all’Opira dî Pupi, dove la folla ululante tira scarpe e insulti al povero pupazzo, scambiandolo per il personaggio vero. Se vedemu, e mi saluti Salvatore Merlo e tutta la famiglia.

Suo Gabibbo

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