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Ricordare l'invenzione della pace. Europa e conservatori: Dio benedica Merkel

Le lettere del 13 settembre al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Non credo proprio che a Salvini convenga entrare nel Ppe, altra cosa è cercare un accordo dopo le elezioni europee con lo scopo di tagliare fuori socialisti e macronisti.

Lorenzo Tocco

  

Il percorso è quello ma fino a che ci sarà un Ppe alternativo al modello Orbán sarà difficile che quell’alleanza possa nascere. E ancora una volta, God bless Angela Merkel.


  

Al direttore - E’ vero, ogni volta che si propone qualcosa che tenta (poi è tutto da vedere se ci riesca) di contrastare un fenomeno, il rischio ideologico è sempre dietro l’angolo. Il rischio cioè di voler combattere battaglie che, se non velleitarie,  poi magari producono pure effetti contrari a quelli sperati. Ma un conto è denunciare tale rischio,  altro conto è limitarsi, in nome di  un principio di realtà a sua volta un pelo ideologizzato, alla semplice presa d’atto. Che è quanto si evince dalla critica che Maurizio Crippa ha mosso ieri alle due iniziative gialloverdi degli  uffici chiusi la domenica e dell’affido condiviso. Sì, lo sappiamo:  la famiglia, e più in generale la vita che si viveva una volta è stata spazzata via; è vero, come scrive Crippa, che “di quel mondo ordinato, fatto di famiglie stabili e di vuote domeniche d’ozio da onorare tra la messa e il pranzo, la passeggiata o lo stadio non è rimasta pietra  su pietra”. Ed è altrettanto vero, parlando della proposta avanzata dal senatore Pillon dell’affido condiviso, che  la realtà dice di “quattro milioni di genitori separati e 800 mila minori” e che “spesso la separazione non è riconciliabile”. Tutto vero, ma la domanda resta: e con ciò?  Dobbiamo, appunto, limitarci a prendere atto della realtà? O vogliamo invece provare, dico provare (poi è ovvio che la storia andrà come deve andare non è questo il punto), a invertire la rotta? Non è che siccome una cosa è accaduta allora fine dei giochi. Dipende, se è una cosa buona fine dei giochi, se no si cambia. Poi vogliamo dire che non sarà la domenica shopping-free o l’affido condiviso a risolvere la montagna di problemi che affligge oggi la famiglia? Sono il primo a dirlo. Ma è già qualcosa. E qualcosa è sempre meglio di niente. Sempre che, ovvio, abbiamo ancora una qualche ambizione di non essere semplici comparse  sul proscenio della storia. Per dire, la chiesa avesse ragionato così al tempo di Lutero, a quest’ora non avremmo avuto il Concilio di Trento e tutta l’epopea della cosiddetta controriforma che, en passant, all’interno della quale capitava di incontrare  gente tipo Carlo Borromeo, Luigi Gonzaga, Ignazio di Loyola, Filippo Neri, Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, ecc. Vuoi mettere?

Luca Del Pozzo 

    

La nostalgia è un grande tema, e Maurizio Crippa lo ha affrontato ieri in modo magistrale sul nostro giornale. Ma la nostalgia di cui parliamo oggi è una nostalgia del tutto particolare perché punta a superare e ad archiviare in modo più o meno inconsapevole i valori che hanno portato l’Europa a inventare la pace. La politica della nostalgia, come ha ricordato ieri sul Corriere della Sera anche Antonio Polito, oggi è più pericolosa che mai perché punta ad aggredire le radici del nostro benessere scaricando tutti i problemi dell’occidente e del nostro paese sulla fonte della nostra stabilità. Sarebbe utile rileggere oggi un magnifico libro scritto nel 2000 da uno storico militare di nome Michael Howard. Il saggio si intitola “L’invenzione della pace”. E ci ricorda cosa succede quando ci si dimentica cosa vuol dire mettere in discussione i pilastri della pace.


  

Al direttore - A proposito dell’articolo “Online, televisiva e cinematografica. E’ la giustizia del nuovo mondo” pubblicato sul Foglio di ieri e firmato dal simpatico Peppino Sottile, precisiamo che va bene nominare il Gabibbo, ma non va bene nominarlo invano. Noi, in genere, se lo nominiamo, aggiungiamo sempre la formula “come genialmente ha intuito Antonio Ricci”. Nella sua mirabile arte parodistica, infatti, Ricci (e in epoche davvero non sospette) identifica nel Gabibbo lo stereotipo e l’antesignano di tutti i populisti, i giustizialisti, i manettari. L’articolo 25 del Codice di  Striscia recita infatti: “Cercare di evitare la retorica e l’indignazione, tranne quella esageratamente parodistica: ‘E’ una vergogna’ può dirlo solo il Gabibbo che è un pupazzo”. Scrive Ricci in “Me tapiro”: “Il Gabibbo è la pancia: non parla, rutta. Vuol significare che in tv qualunque banale pupazzo, se bercia o arringa moraleggiando, può ottenere il massimo della credibilità e popolarità”. Il Gabibbo è parodia. Non vorremmo che, vista la sicilianità imperante al Foglio, vi siate fermati all’“Òpira dî Pupi”, dove il pupazzo tira scarpe e insulti alla folla urlante, che lo scambia per il personaggio vero. Il Gabibbo è parodia del reale, e non va confuso con il reale.


Saluti dalla giostra infernale.

L’ufficio stampa di Striscia la notizia

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