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Lettere Rubate
Rossana attraverso gli occhi della sorella Serena, che si chiede: e io dov'ero?
In questo libro, l'autrice torna al 1958. Cerca indizi, ricordi, interroga medici e un amico di allora, che le offre un ricordo (forse) decisivo. Un ritratto che procede per scene, momenti di essere, in contrasto con la freddezza e la sciatteria linguistica delle cartelle cliniche
Venerdì 19 maggio. Compleanno di Rossana. Questa volta anche io andai a trovarla, la domenica successiva. Le portammo la crostata di fragole – un tempo era il suo dolce preferito. Mamma cominciò a imboccarla; legata al letto, come le altre “agitate”.
Serena Vitale, “Cartella clinica”
(Sellerio, 120 pp.)
Nell’aprile del 1958, Rossana comincia a guardarsi allo specchio con insistenza, convinta di avere gli occhi storti, di essere brutta. E’ una talentuosa studentessa del conservatorio di Lecce, è molto amata, ammirata per come le sue mani corrono leggere sul pianoforte. Sua sorella Serena è ancora una ragazzina che comincia il ginnasio, si disegna la riga sulle gambe per finge di avere le calze, e che le dice: sei bella. Nel giro di pochi mesi la situazione peggiora, Rossana viene ricoverata, le sue cartelle cliniche parlano di tare psichiatriche ma non spiegano nulla: strana, bizzarra, eccitata, coprolalica, esagitata. Morirà nel 1961, dopo una serie di terapie pesanti, da cui a volte tornava con i lineamenti come appiattiti. Il ricordo di Serena Vitale è struggente, a volte comico, doloroso. Lei che è diventata la più importante slavista italiana, traduttrice di Cvetaeva, Bulgakov, Kundera, Nabokov e tanti altri, capace di leggere gli indizi terrestri nelle parole degli scrittori, chiede a sé stessa, nella ricostruzione sentimentale di quegli anni e di quel misterioso inabissarsi: “Possibile che fossi cieca e sorda? Il ginnasio, certo, i compiti. A me o in mia presenza non aveva mai detto che voleva morire”.
Il ritratto di Rossana procede per scene, momenti di essere, in contrasto con la freddezza e la sciatteria linguistica delle cartelle cliniche che non raccontano niente di lei, ma mostrano qualcosa di incerto al quale si è cercato di opporre certezza e realtà. Mostrano “stranezze”, avvisaglie di malattia mentale che la sorella minore non ricorda affatto. Serena Vitale torna al 1958, cerca indizi, ricordi, interroga medici e un amico di allora, che le offre un ricordo (forse) decisivo. Ma soprattutto Vitale si chiede: “e io? Io avevo una sorella che mi difendeva da mia madre quando si arrabbiava, le diceva: non picchiarla, è piccola”. “Non avevo – non avevamo – perso uno solo dei suoi saggi di fine anni. Le mani si muovevano rapide, leggerissime, il volto era sereno, il corpo disteso, non si accaniva sulla tastiera, non allargava i gomiti, non teneva alte le spalle. Era perfetta. E felice – così almeno sembrava”. Cartella clinica restituisce precisione, tenerezza e affetto a Rossana, proprio a lei e a nessun’altra. Il padre, nel tempo successivo alla morte, regalerà sempre alla figlia Serena una manciata di caramelle Rossana. In fondo a questa lettera d’amore anche una foto, bellissima, sofferente, arrabbiata. Sembra chiedere: e tu?