Le lacrime nelle maniche della maglietta e quel pensiero uscendo dal cinema: sono pazzo anche io

Annalena Benini
Hai mai trovato la felicità in un tramezzino?, chiede Beatrice a Donatella, sedute sulla macchina che hanno appena rubato a un tizio incontrato al centro commerciale, rubata solo così, per farci un giro, per vendicarsi.

Hai mai trovato la felicità in un tramezzino?
Beatrice a Donatella, “La pazza gioia”

 

Hai mai trovato la felicità in un tramezzino?, chiede Beatrice a Donatella, sedute sulla macchina che hanno appena rubato a un tizio incontrato al centro commerciale, rubata solo così, per farci un giro, per vendicarsi, e perché tecnicamente, secondo alcune perizie psichiatriche, loro due sono pazze. Secondo alcune scenate, tentativi di suicidio, bancarotte, stalking, elettroshock, magistrati, mariti, amanti, medici, madri, secondo molte persone che non sempre sembrano così sane e incolpevoli. Loro due sono pazze in modi diversissimi, che però insieme trovano una strada da percorrere, un tramezzino verso una specie di felicità. E’ l’ultimo film di Paolo Virzì, “La pazza gioia”, scritto con Francesca Archibugi, in questi giorni in concorso al Festival di Cannes. Beatrice è Valeria Bruni Tedeschi, Donatella è Micaela Ramazzotti ed è impossibile staccar loro gli occhi di dosso, e anche separarle, nell’immaginazione, nel tentativo di capire quale delle due abbia il buco più grande, dentro, e più bisogno di pazza gioia e di una mano da stringere.

 

Uscirete da questo film con un colpo al cuore, penserete che certe catastrofi sono perfino bellissime e fanno ridere, ma penserete anche, con gli occhi gonfi (i fazzoletti servono, ma vanno bene anche le maniche delle magliette): e io? Io che faccio di tutto per sembrare normale, per mostrare che va tutto bene, per non urlare al telefono, io che non ascolto sempre la stessa canzone ma vorrei farlo, a volte, io che piangevo prima delle interrogazioni a scuola, e poi ho smesso, e spiego agli altri che cosa devono fare, do consigli, giudizi, sembro molto sicuro, dico cose sensate e poi faccio il contrario, a quarant’anni, a cinquanta, a trenta, a sessanta, non avrei diritto a un po’ di pazza gioia anche io? Un po’ più di un tramezzino. Più di una cosa piccola e sensata che sta dentro il recinto delle cose giuste, frettolose e normali. Più di un attimo, più di quel minuto terribile in cui tutto il dolore accumulato, i sorrisi finti e il sangue che intanto dentro le braccia, dentro le gambe diventa colla, fanno superare una linea sottile, e dall’altra parte della linea ci sono i pazzi. Allora sì, sono pazzo anche io, forse qualcuno penserà uscendo da questa storia di ragazze: sono pazzo perché mi sembrano tutti pazzi, gli altri, perché non mi importa niente dei soldi, perché vorrei dormire un mese, e poi non dormire mai. E fare come Thelma e Louise, ogni tanto, ma senza quel finale, e mandare tutti al diavolo, ma andare a riprenderli, e nel frattempo sentire l’amore di qualcuno. E rispondere a chi mi chiede se sto bene, se va tutto bene: “E tu? Abbigliato in quel modo?”.

 

“Hai visto come mi guarda quello? Obiettivamente”, dice Valeria Bruni Tedeschi a Micaela Ramazzotti, e noi ridiamo perché lui non la guarda per niente, o forse la guarda imbarazzato per come lei lo fissa, con l’ombrellino che la ripara dal sole e i vestiti di seta. Lei che è pazza ha il coraggio di dirlo, la libertà di raccontarsi le storie che tutti noi ci inventiamo, le magie con cui ci consoliamo, e le colpe agli altri perché così è più facile. Ma per rispondere alla domanda: hai mai trovato la felicità in un tramezzino? (il cui sottinteso, nella follia aristocratica di Valeria Bruni Tedeschi è no, perché la felicità sta nelle tovaglie di fiandra, nelle cose belle, nelle persone gentili), forse invece dentro un tramezzino c’è una di quelle felicità possibili. Per i pazzi, e per tutti gli altri. Dire a qualcuno: meno male che ci sei tu. Sentirselo dire. Dire: sei pazza, però con contentezza. E il sorriso meraviglioso di Donatella quando vede suo figlio sulla spiaggia. Le cose che sembrano un tramezzino, ma non lo sono mai.

 

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.