Don Giussani e il terremoto. Chi sono i prossimi sciacalli

Redazione

    Al direttore - Leggendo il bell’articolo di Giuliano Ferrara ieri sul Foglio mi è tornato in mente quello che disse don Luigi Giussani dopo il terremoto del Friuli, quando – come in queste ore in centro Italia – gli italiani risposero al dramma delle persone colpite con un commovente sforzo di solidarietà. Ne riporto qui di seguito un passaggio, perché mi pare sollevi quella che è la questione fondamentale di fronte al mistero di quanto accaduto e ai nostri sforzi di solidarietà: “Il contributo dell’uomo di buona volontà risolve, forse, quel momento, ma dopo? Dopo non è impedita la possibilità che un altro dolore o un bisogno nuovo insorgano. L’uomo può realizzare qualcosa nel momento tragico, ma, se non si lascia trascinare via distratto dall’urgenza dell’azione, capisce che le sue energie sono impotenti di fronte al male (perché anche il terremoto è un male, è un male come la morte). […] Al gesto di solidarietà è sottesa una fondamentale domanda: Per che cosa faccio questo? In nome di che?”. Senza una risposta profonda a queste domande non è possibile guardare il terremoto senza disperarsi né dare un aiuto che resista di fronte a ogni tipo di male.
    Roberto Fenoglio

     

    Al direttore - Terremoto. In piena notte. Una strage. Torna in mente l’inizio della “preghiera del mattino”, che un tempo ci insegnavano da bambini: “Ti adoro mio Dio e ti amo. Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte…”.
    Antonio Palmieri

     

    Al direttore - Seduto in poltrona, in salotto, sto guardando Juventus-Inter, sono le 19.34. Ho tredici anni. Mamma, fratellino di un anno, nonna e l’altro fratello sono in altre camere. Il vetro delle finestre inizia a tremare, sarà il vento forte. Dopo qualche secondo i quadri iniziano a muoversi, il lampadario di (gocce) cristallo dondolando emette un rumore sinistro, a questo punto è chiaro che sta succedendo qualcosa di particolare. Mi alzo ma non riesco a stare in piedi, anch’io dondolo, quasi fossi ubriaco. Son passati pochi secondi, ma sembrano un’eternità. La scossa durerà novanta secondi, ma viverli con tutti questi pensieri ti fa pensare che stia accadendo qualcosa di interminabile, e quando ti rendi conto che è un terremoto, capisci che la natura è onnipotente e noi siamo, al contrario, del tutto impotenti. Era il 23 novembre 1980. Trentasei anni dopo,  memore anche della storia personale di alcuni dei miei avi, mi colpisce vedere tante persone scappare con in mano solo una valigia… tutta una vita in una valigia…
    Leo Marinovich

     

    Al direttore - Espressa la solidarietà ai concittadini colpiti dal terremoto, suggerirei che restino anonimi i magistrati che certo si muoveranno prestissimo sul caso: così facciamo loro il favore che gli italiani non pensino che quei magistrati vadano a caccia di popolarità.
    Alberto Savoini

    Il punto non sono i magistrati che indagano sul nulla. Il punto è chi trasforma il nulla in una verità assoluta. Le inchieste ci saranno. Ma il problema sono tutti coloro che con le inchieste delle procure proveranno a trasformare una qualche indagine fumosa in una battaglia politica contro i propri nemici di turno. Un altro genere di sciacalli.

     

    Al direttore - Sui carri armati di Erdogan contro l’Isis ho qualche dubbio, visto   l’obiettivo non dichiarato di combattere i curdi. Popolo questo che lotta in prima fila contro l’Isis, a differenza della coalizione di 60 nazioni annunciata oramai da un anno della quale non si vede quasi traccia. Spero che gli Usa e l’Occidente aprano gli occhi e agiscano. Cordiali saluti.
    Giovanni Attinà

     

    Al direttore - Grazie per gli interventi di Volpi e Blangiardo sui temi demografici: solo il Foglio insiste con tale profondità e puntualità sul tema centrale della crisi demografica, probabilmente il tema più gravemente snobbato dalla nostra politica, di qualunque colore.
    Mi pare però che Volpi abbia ragione quando ha più volte sottolineato che il problema non è risolvibile (solo) sul piano fiscale ed economico. Da lì si può e si deve partire, come dice il prof. Blangiardo, ma il problema ormai è intrinseco e immanente alla civiltà italiana, a due generazioni dal ’68: la gente non fa figli, e se li fa inizia tardi e si ferma presto. E non lo fa per cultura, pigrizia, sfiducia, demotivazione, educazione. Quindi, anche se aiutati da un fisco finalmente più equo, la demografia non ripartirà se non si riparte da valori, educazione, formazione, cultura.  Arduo ma imprescindibile.

    Giovanni De Marchi