I soldi, l'Italia, la mano del mercato. Bernabei, un ricordo

Redazione

    Al direttore - In un paese vecchio, il necrologio è il momento più sincero della riflessione pubblica. La memoria di chi è appena scomparso diventa l’occasione più appropriata per parlare di chi rimane. E’ per questo che il cordoglio per la figura di Ettore Bernabei – per una volta generale, assoluto, sincero – è rivelatore. Il rispetto per l’uomo va da sé. Ma colpisce la generale nostalgia per un tempo più semplice, quando bastava un canale solo per capire quel che c’era da capire sul mondo. C’è davvero da rimpiangerlo, quel tempo? Senz’altro Bernabei lo incarnava alla perfezione. Era La Pira più il tubo catodico: la Rai del monopolio come leva di pedagogia sociale, un menù monopiatto per “fare gli italiani”, per quanto al modo della Democrazia cristiana e del sentire comune del secondo Dopoguerra. Un’idea di progettazione mite della società, un bianco e nero intriso di buone intenzioni: ma pur sempre bianco e nero. Meglio di tutto quel che è venuto dopo? Può darsi, e tuttavia c’è una continuità fra il dopo e il prima. La Cassa del mezzogiorno sarà nata per fare infrastrutture utili, ma forse non è un caso se poi ha costruito le “cattedrali nel deserto”. I primi manager pubblici saranno stati dritti come un fuso, ma forse non è un caso se poi la politica industriale è diventata la grande mensa della partitocrazia. La Rai di Bernabei sapeva di bucato, ma forse non è un caso se è tutt’oggi un monumento, sfortunatamente non funebre, all’inefficienza. La concentrazione del potere di per sé non è un male, finché lo reggono persone buone. Non c’è illusione che la storia d’Italia smentisca in modo più definitivo che questa. Però non esce dalle formule della nostra discussione pubblica e, quel che è peggio, l’impressione è che non sia una preghiera ripetuta per rispetto ai defunti: ma per fede.
    Alberto Mingardi

     

    Al direttore - “Rachele però vorrebbe restare nella storia perché è arrivata seconda ai Giochi di Rio, non perché ha detto a chi vuole bene”. (La Repubblica di ieri, in margine a un florilegio di “era sport, ora sono le unioni civili. Lei e lei. Lui e lui. La normalità ai tempi dei Giochi è ancora la diversità in molti paesi. E’ la prima volta nello sport azzurro. Lo sport insegna lotta e verità, e spesso gioca d’anticipo su leggi e mentalità in affanno. Se sai combattere contro le avversarie lo sai fare anche contro i pregiudizi. A Rio l’amore a cinque cerchi ha molte sfumature. Perde ogni stranezza, diventa traguardo di molte vite”. MA NON RICORDATEVI DI RACHELE BRUNI PER QUESTO, EH).
    Caterina Giojelli
     

    Al direttore - Caro Cerasa, il pauperismo è una sorta di circolo vizioso. Si disse che con la caduta del Muro il cattocomunismo, altrimenti detto cattolicesimo adulto (che ebbe, se non vado errato, il nostro beneamato attuale presidente tra gli esponenti, seguaci del cosiddetto dossettismo, estimatori di La Pira, sindaco con l’aureola della santità di Firenze) non aveva più motivo di essere, dato che quelli che avevano avuto la fortuna di vivere al di là del suddetto Muro avevano testimoniato contro il comunismo. Il cattocomunismo si ritirò dietro le quinte per tornar fuori arzillo, sotto l’usbergo dell’inarrestabile progresso, come cattoprogressismo. L’ascesa della copia in salsa tupamaro del santo di Assisi al soglio di Pietro è stata un’iniezione di nuova energia per il popolo cattoprogressista, cui, comunque, prudenza ha suggerito di non sventolare le antiche bandiere con la falce e martello, caso mai qualcuno si ricordasse i bei tempi. Ed ecco pronto a fare il loro gioco il grillismo o casaleggismo che dir si voglia; i cui elettori cattolici non avendo mai sospettato dell’esistenza di Bernard de Mandeville (che dubito i vari Di Maio abbiano mai letto) si affidano fiduciosi, dando vita così a una sorta di nuovo cattocomunismo che paradossalmente combatte il cattocomunismo residuo nel Pd renziano. Chiunque vinca, quindi, tra loro, noi restiamo comunque in braghe di tela. Ma dato che l’attuale grillismo è per il no, non ci resta che la piccola soddisfazione di votare si.
    Mario Mauro

     

    Le risponderei citando il professor Pascal Salin, scuola austriaca, gran liberale, fiero nemico ante litteram della retorica no global. “Quando si persegue il proprio interesse personale non entrando liberamente in rapporto con gli altri ma ricorrendo alla forza (dello stato) per imporre loro un comportamento e delle scelte che non accetterebbero liberamente, si agisce in maniera immorale perché non si rispetta la libertà altrui” (“Liberiamoci”, Liberilibri).