Elogio di Pannella e del suo partito della nazione garantista

Redazione

Al direttore - Pensionati minacciano sciopero. A rischio prossime puntate talk-show.
Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Se il Parlamento vuole onorare veramente Marco Pannella ha un’occasione unica. Approvi un’amnistia. Purtroppo non lo farà.
Frank Cimini

 

Senza Pannella, in Italia, non ci sarebbero state molte cose, è vero, ma una in particolare non ci sarebbe stata, senza la sua passione civile e carnale: un briciolo di cultura garantista. Addio Marco.

 

Al direttore - Ero un poco più che ventenne collaboratore del Messaggero quando ci fu la vittoria al referendum abrogativo sul divorzio, l’editore Sandrino Perrone fece illuminare a giorno la facciata su via del Tritone e offrì champagne. Da parte mia avevo ricevuto nei pezzi licenza di uccidere in nome di quel “no” che intanto esibivo sul lunotto della macchina. Ma fermarsi a questo, e all’aborto, è un errore. Marco Pannella fu decisivo nel predicare il garantismo quando nessuno lo faceva, nel demolire le concertazioni sindacali-padronali in pieni anni 70-80, convincendo Bettino Craxi a sfidare il Pci nel referendum sulla scala mobile, fece campagne per la concorrenza e l’abolizione di albi e ordini ben prima che “Casta” divenisse un copyright di moda. Questioni ancora aperte, gli avessimo dato più ascolto saremmo un paese meglio definibile moderno. Rompicoglioni certo, mai alla ricerca del consenso facile sul blabla del giorno prima: il contrario di populisti e grillini di oggi, rompipalle a rimorchio.
Renzo Rosati

 

Se alcuni colleghi con mano veloce hanno scritto che Casaleggio ha cambiato l’Italia, mi chiedo oggi di Pannella cosa scriveranno.

 

Al direttore - Stregone scapigliato, è stato l’ultimo barlume risorgimentale. La morte, più di un referendum perso o di una débâcle elettorale, o uno sciopero della fame o della sete portato avanti nel tempo e trascurato, ha tolto l’ultimo respiro nonché innumerevoli dolori, al vecchio leader radicale, Giacinto Pannella, per gli amici Marco, e visto che in Italia ne aveva una buona dozzina, noi lo ricordiamo come Marco. La chioma arruffata, le cravatte multicolori se non carnevalesche, e l’immancabile fumo che avvolgeva una lunga esistenza di battaglie, vinte e amaramente perdute. Come tutti i combattenti, anche se Egli fu leader e stratega della piccola formazione dei Radicali, costola del Pli dal quale “divorziarono” intorno al 1955, nonostante la possibilità di godersi la pensione in più occasioni, decise di rimanere sul campo e sfidare i giganti, con i quali un po’ si alleò e un po’ si scontrò. Una lunga carriera, tra in-giustizia, diritti umani e simpatico folklore, provocazioni e un grande amore: la sua Radio Radicale. E’ mancata la nomina a Senatore a vita, ma lo sarà in pectore per l’eternità e sui manuali di storia della politica italiana. Come scrisse Carl Schmitt, “la storia non la scrivono i vincitori... i vincitori scrivono annali, come Livio”. Vinto sì, ma mai vero perdente, anche se di successo. E sempre con il sorriso! Una lucida e sincera schizzofrenia, artistica e ideale, rimandando il pensiero a Erasmo, proprio Lui, che veniva da Rotterdam: “Le idee migliori non vengono dalla ragione, ma da una lucida e visionaria follia”. Elogio della follia, elogio di un folle che si chiamò Marco, per gli amici, appunto. Buon drink! Cin cin! I giovani e meno giovani, di stampo liberale, e di quel che resta di quel solco Cavouriano, chi più e chi meno ti salutano con garbo e umana simpatia, anche se poi fummo più clericali che radicali. Ma niente rancori! Arrivederci.
Federico Bini

 

Al direttore - Il Fatto del 19 maggio pubblica una prosa (definirlo articolo è riduttivo) di Luigi de Magistris dove sostiene che l’aver mandato “al bagno” il presidente del Consiglio - scrive proprio così, al bagno, usando quella delicatezza e garbo che sono un po’ il suo tratto distintivo – è un turpiloquio frutto della passione. What else?
Valerio Gironi

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