Come riattivare il mulino del populismo penale aumentando la prescrizione

Redazione

    Al direttore - Davigo: sì al dialogo, ma dopo che ho acceso il registratore.
    Giuseppe De Filippi

     

     

    Al direttore - Nella dettagliatissima e suggestiva “indagine post nazarenica” che la Ciliegia ha esposto sul Foglio del 27 aprile per arrivare sostanzialmente alla conclusione, parafrasando qui la Grecia e Roma, che Berlusconi “captus, ferum victorem florentinum coepit”, manca la politica economica, pur non sottacendosi alcune specifiche, ma parziali, misure adottate da Renzi e a suo tempo progettate dallo stesso Berlusconi. Manca perché la Ciliegia ritiene che non vi sia nulla da segnalare da entrambi i versanti? Che, cioè, questo sia un terreno senza vinti e vincitori? Ma il carattere cruciale di una efficace politica della specie fa sì che, se su di essa non si possono fare raffronti per l’insufficienza delle realizzazioni in entrambi gli esponenti, il castello delle rappresentate imitazioni renziane rischia di cadere perché non sorretto da un pilone fondamentale. No so a quanti farà piacere questa che è anche una sorta di “vite politiche parallele” dei due leader, ancorché molto distanti anagraficamente, ma forse il commento merita un supplemento di analisi. Con i più cordiali saluti.
    Angelo De Mattia

     

     

    Al direttore - Sul Fatto di ieri ho letto le seguenti affermazioni formulate da un procuratore della Repubblica, il dottor Roberto Scarpinato: “Il processo mediatico è divenuto una sorta di rito collettivo catartico, compensatorio della reale importanza di quello penale”. Ha ragione Travaglio, dunque: il garantismo non è un’opinione, è solo un inutile gargarismo.
    Sebino Caldarola

     

    Bisognerebbe spiegare al dottor Scarpinato e al suo gentile intervistatore una cosa semplice: considerare legittimo il processo mediatico – che poi significa considerare legittimo anticipare una pena che si considera giusta attraverso lo sputtanamento collettivo di un indagato – non è solo una pratica da paese barbarico ma è anche una pratica che va contro la Costituzione-più-bella-del-mondo. Articolo 27 comma due: “L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”. La truffa culturale che ci viene proposta dai sostenitori del processo mediatico è che processare mediaticamente gli indagati è legittimo dal momento in cui molti processi non si riescono a concludere per via della prescrizione. In questa logica, la soluzione perfetta sarebbe facile da adottare: allungare la prescrizione. Ovvio, no? Oggi, in Commissione Giustizia, sarà votata una proposta di legge, voluta dal Pd e da Ncd, che allungherà i tempi della prescrizione per alcune tipologie di reati. Ma l’idea di allungare i tempi della prescrizione rischia di essere un boomerang mica male: rimarrà, comunque, la fase del processo mediatico, i procedimenti dureranno di più (alla faccia della ragionevole durata dei processi prevista dall’articolo 111 della Costituzione) e si continuerà a girare attorno al problema dei problemi. Questo: se si vogliono accorciare i tempi della giustizia occorre riformare l’obbligatorietà dell’azione penale ed eliminare la possibilità di ricorrere in appello per le assoluzioni in primo grado. Aumentare la prescrizione per i reati di corruzione, purtroppo, significa soltanto dimenticare i dati sulla materia (per i reati di corruzione contro la Pa i casi di prescrizione registrati nel 2015 sono stati il 3,5 per cento del totale) e significa ancora una volta spruzzare acqua sul mulino del populismo penale.