Davigo e il paese di presunti innocenti colpevoli fino a prova contraria

Redazione

    Al direttore - Non esistono innocenti, ma solo colpevoli non ancora eletti.
    Giuseppe De Filippi

     

     

    Al direttore - Ogni volta che leggo o ascolto un’intervista a Piercamillo Davigo mi sento come Josef K., l’impiegato di banca protagonista del “Processo” di Kafka: si sveglia e riceve la visita di due signori che lo dichiarano in arresto. Per che cosa, non è chiaro. Tuttavia, non viene obbligato a seguirli in prigione. Può anche continuare la sua vita normale, ma sapendo che è in corso contro di lui un processo. Il resto del romanzo è il racconto degli sforzi, vani, di Josef per entrare in contatto con il tribunale, conoscere il capo d’imputazione, trovare il modo di difendersi. Ho allora deciso che da ora in poi, poiché per il presidente dell’Anm siamo tutti potenzialmente ladri o corrotti (fateci caso: le sue dichiarazioni, raccolte da giornalisti spesso compiacenti se non proprio culturalmente subalterni, sembrano in realtà le requisitorie di un pm), mi avvarrò della facoltà di non rispondere.
    Michele Magno

     

     

    Al direttore - Secondo il nuovo presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo, “un magistrato non dovrebbe mai fare politica” e “in Italia ci sono poche prigioni”. Che ne dice, qualcosa è cambiato?
    Luigi Filippi

     

     

    Al direttore - Piercamillo Davigo, grande sostenitore del “democratico” tintinnar di manette, sostiene, a ragione, che i politici che rubano dovrebbero vergognarsi. Afferma, indiscriminatamente, facendo di tutta l’erba un fascio, che i politici “non hanno smesso di rubare; hanno smesso di vergognarsi”. Io mi vergogno che il presidente dell’Associazione nazionale magistrati dimostri la più assoluta parzialità, il più mastodontico ammasso di pregiudizi, parli come un qualunquista ignorante in un bar o un forcaiolo in piazza. Sì, io come italiano mi vergogno che un essere che trasuda una parzialità che rasenta il fanatismo possa essere non dico il presidente dei magistrati ma, addirittura, che in questo paese possa essere un magistrato.
    Roberto Bellia

     

    Non è un caso che Luigi Di Maio ieri si sia affrettato a far sapere che Davigo non si tocca, non si critica, non si sfiora. La ragione è semplice. L’Italia di Davigo coincide con quella di Grillo e con quella di Di Maio e con quella di Raggi e Associati: un paese di presunti innocenti colpevoli fino a prova contraria.

     

     

    Al direttore - Angela Merkel ha ragione nel sostenere che discutere della politica dei tassi di interesse della Bce non significa interferire nell’indipendenza di quest’ultima. La sicura legittimità della discussione non può essere confermata anche quando si affronta la Bce come un soggetto politico arrivando ad attribuirle un inconsapevole sostegno a questa o a quella forza, come ha fatto Wolfgang Schäuble. Basterebbe che questi ricordasse il rapporto che il governo aveva con la Bundesbank, prima della costituzione della Bce, e a esso si allineasse, se non vuole far muovere l’obiezione a lui stesso e alla Merkel che l’indipendenza viene rispettata o no a seconda dei contenuti delle politiche della Banca. Piuttosto che guardare solo da questo lato, sarebbe, però, doveroso che la Germania si chiedesse perché la Bce finisca, pur adempiendo al proprio mandato, con  lo svolgere una sostanziale politica di supplenza di una adeguata politica economica, a livello europeo e di singoli stati. Se sussistesse ora una tale adeguatezza, a cominciare dall’eliminazione del surplus della bilancia dei pagamenti tedesca quasi pari a quello della Cina, e che crea deflazione, larga parte delle critiche rivolte all’Istituto sarebbe automaticamente eliminata.
    Angelo De Mattia