Oppio del popolo

Mariarosa Mancuso

I critici chic e l’insopportabile constatazione che alle casalinghe piace “Games of Thrones”.

Un segno della fine del mondo più grave di quel che sembra”. Moriamo di curiosità. Da quando abbiamo imparato a leggere e a scrivere la fine del mondo è stata annunciata tante volte che ormai non ci facciamo più caso. Se non annunciavano la fine del mondo, annunciavano la fine delle cose per cui vale la pena di vivere. Il romanzo e il cinema, ad esempio: morti, moribondi, o nel caso migliore superati. Il nuovo segno inequivocabile della fine sta nel fatto che guardiamo e apprezziamo le serie (riecco l’infernale accoppiata del catastrofismo con le cose belle). A scovarlo naturalmente è un francese, tale Marc Obregon. Sul sito Causeur, con foga degna di miglior causa, attacca le serie e gli spettatori delle medesime. Poveri di spirito quanto infantili, i televisionari si fanno acchiappare dalle trame e dai dialoghi. Proprio come i lettori dei feuilleton o dei romanzi ottocenteschi, che per Monsieur Obregon sono l’arte borghese per eccellenza. Un vero rivoluzionario come lui ci sputa sopra. E parte come Don Chisciotte contro i mulini a vento per smascherare la truffa.

 

Le serie sono l’oppio del popolo. Non bastava l’indecoroso spettacolo degli adulti che leggono le graphic novel senza vergognarsi (ebbene sì, abbiamo incontrato l’unico francese che non apprezza la Bande Dessinée, abbreviata in BD e recensita da settimanali ad alto tasso di figaggine come Les Inrockuptibles). Ci sono obbrobri come “Games of Thrones”, un orrore di dragoni e principesse osannato perfino dalle casalinghe che sbadigliavano guardando “Il signore degli anelli”. La casalinga che è in noi, ancora con la mascella dolorante per via dell’anello “che tutti rincorrono e alla fine buttano via” e invece presa d’amore per il nano Tryrion Lannister (notevole anche il resto della banda), prova a spiegare. Tolkien e Peter Jackson sono fantasy, mentre “Games of Thrones” è Shakespeare: lo si capisce dal fatto che nel primo caso i biondi sono sempre buoni e i neri sdentati sono sempre cattivi; nel secondo caso lo schemino non funziona. Va aggiunto che le principesse non sono sempre e comunque in pericolo: basta per scatenare un pubblico più sofisticato della casalinga di Voghera (per i francesi, la concierge con l’odore di cavolo in portineria).

 



 

L’ultima prova a carico sono – sempre secondo Marc Obregon – i sotterfugi di sceneggiatura. Siccome la casalinga che è in noi ha fatto le scuole serali, tra un rammendo e altro ha un’obiezione: son tecniche di scrittura che già erano nella “Poetica” di Aristotele, perché dobbiamo dar retta al primo che si sveglia con la luna storta e li considera ridicoli? Si è svegliato con la luna storta anche Serge Kaganski, che appunto scrive su “Les Inrockuptibles” (dove la sezione “romanzi a fumetti” sta accanto alla sezione “serie tv”). “Le saintes séries” è il titolo dell’articolo, lui subito si dichiara “eretico” dopo aver snocciolato le credenziali: “Ho vissuto negli Stati Uniti, ho assistito al successo di “Twin Peaks” e di “Seinfeld”. Li ha visti, assieme a una lista lunghissima di altri titoli, ma non gli hanno mai procurato lo stesso brivido provato al cinema (lui scrive “piacere estetico”, noi traduciamo nel linguaggio di Vladimir Nabokov). E’ come paragonare la Coca Cola a una buona bottiglia di vino (da notare, la raffinata argomentazione). O un ristorante con lo chef che cucina prodotti del territorio ai surgelati. Non sappiamo in Francia. In Italia, con tutti i cuochi improvvisati che forsennatamente impiattano, un bastoncino di pesce surgelato capita di sognarlo.

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