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Lo Stato e le reti globali

La globalizzazione agisce in parte come prodotto degli Stati, in parte come loro limite

Professor Cassese, Federico Fubini, sul Corriere della sera del 3 febbraio 2019, ha notato che il valore delle esportazioni italiane è di 500 miliardi di euro per anno e che ammonta a 790 miliardi di dollari l’esposizione delle banche del resto del mondo verso l’economia italiana. Siamo legati mani e piedi? Siamo tutti nelle mani di un grande burattinaio che si chiama globalizzazione?

Vi sono tre modi di affrontare la globalizzazione. Secondo il primo, il progresso e la crescita in potenza degli Stati sono stati frenati da un moto mondiale che, partendo dall’economia, si è esteso ad altri campi, limitando la sovranità degli Stati. Insomma, gli Stati preesistono e la loro sovranità è posta in dubbio dalla globalizzazione. Per il secondo, gli Stati, nel progredire e ampliare la loro potenza, hanno trovato limiti alla loro azione negli altri Stati e, in un’età che rifugge da guerre estese, hanno dovuto cercare l’accordo di altri Stati, creando reti cooperative per risolvere problemi che non possono affrontare da soli. Insomma, gli Stati preesistono, ma limitano o ampliano la loro sovranità nel rapporto reciproco. Secondo il terzo modo di affrontare la globalizzazione, essa è un moto mondiale che preesiste agli Stati, prodotto dalle scoperte geografiche, dai commerci, dalla colonizzazione. Insomma, la globalizzazione preesiste, gli Stati vengono dopo, ma non riescono ad arrestarne il corso. Queste tre narrazioni non si contrappongono necessariamente, così come non si contrappongono necessariamente Stati e globalizzazione. La globalizzazione agisce, dunque, in parte come prodotto degli Stati, in parte come loro limite. Gli Stati, a loro volta, sono in parte i fattori genetici della globalizzazione, in parte il suo risultato

 

Come si configura ora questo complicato sistema di rapporti?

E’ stata adoperata la formula “dalla piramide alla rete”. Questo vuol dire che dagli Stati come entità separate si passa gli Stati come punti di una rete interconnessa. L’Organizzazione delle Nazioni Unite, nata come organizzazione di Stati sovrani, cambia natura e prende il compito di proteggere individui, popoli, etnie, da Stati dispotici o non democratici con guerre o azioni di polizia internazionale (C. Galli, Sovranità, Bologna, il Mulino, 2019, p. 108). Gli Stati, a loro volta, sono disposti a cedere una parte della loro sovranità purché quello che cedono venga messo sotto controllo congiunto. Ciò dà luogo a quello che i tedeschi chiamano connessioni di politiche (“Politikverflechtungen”). Lo Stato è diventato “semplice agenzia di servizi all’interno di una catena di obbligazioni politica più lunga e articolata, sia verso l’alto che verso il basso” (P. Schiera, Colloquio su Stato, Diritto e Costituzione, con F. Pedrini, pubblicato nella rivista “Lo Stato”, 2018, n. 10, p. 300). “‘Globale’ non è il contrario di ‘locale’, ma è un diverso modo di articolazione dei ‘locali’ in cui la gente abitualmente vive”. Quindi, bisogna “comprendere [lo ‘statale’] nella nuova rete che parte dal basso” (P. Schiera, Colloquio su Stato, Diritto e Costituzione, p. 304).

 

Insomma, lei dice che questo Stato è un camaleonte, che si trasforma, disaggrega all’interno e riaggrega all’esterno. Ma è solo nel dirlo? Nessuno ha lavorato in questa direzione, per capire quel che sta succedendo?

Si lavora da più parti e in diverse discipline nella direzione indicata. Il primo esempio è quello degli storici. Sono usciti due libri paralleli, Patrick Boucheron (sous la direction de), Histoire mondiale de la France, Paris, Seuil, 2017, e Andrea Giardina (a cura di), Storia mondiale dell’Italia, Roma – Bari, Laterza, 2017. Questi due libri ricostruiscono gli eventi rilevanti della storia nazionale le cui proiezioni mondiali sono visibili, narrando e analizzando le presenze francesi e italiane nel mondo e mondiali in Francia e in Italia, rispettivamente. Sono sguardi incrociati, nei quali il nazionale e il mondiale si intrecciano, in continui giochi di specchi, sia pur partendo da un punto di vista nazionale. Finora il nazionalismo ottocentesco e novecentesco, con poche eccezioni (Fernand Braudel, Françoise Wacquet) ha racchiuso la storia nelle nazioni. Ora studiosi come Jared Diamond, Yuval Harari, Emanuele Felice, Charles Maier sembrano ispirati alla frase scritta dal più grande classicista del XIX secolo, Theodor Mommsen a Quintino Sella nel 1870, “a Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti”.

 

Questo punto di vista cosmopolitico, che tuttavia comprende in sé gli Stati e la loro storia, è però criticato da molti. Ad esempio, Dani Rodrik sostiene la tesi del trilemma: non è possibile conciliare la globalizzazione, la democrazia e la sovranità nazionali: uno dei tre deve necessariamente soccombere

C’è una forza frenante. Si conosce il lido che si abbandona (lo Stato sovrano esclusivo), non quello di approdo (la globalizzazione, con dentro gli Stati). Per il momento, lo Stato sembra il solo quadro nel quale si affermano un sistema di limiti, di autonomie, di diritti, l’unico spazio nel quale esistono costituzione e costituzionalismo. Ci sono due lati della medaglia. Sul primo lato, si può notare che nello spazio globale non c’è un sistema giuridico unitario e quindi manca un centro; che non c’è uno spazio pubblico, un dialogo tra governanti e governati; che non c’è un’autorità dotata di potere costituente; che non c’è un potere titolare dell’uso legittimo della forza. Sull’altro lato della medaglia, si possono registrare i seguenti aspetti: c’è ormai un opinione pubblica globale, il 3 per cento della popolazione vive in un Paese diverso da quello di nascita, una buona parte della popolazione mondiale ogni anno viaggia al di là delle proprie frontiere; c’è una forte unificazione della moda e dell’abbigliamento; forte cooperazione in alcuni settori; carte, trattati e convenzioni internazionali tutelano diritti e l’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite stabilisce la supremazia delle disposizioni della Carta rispetto ad altre fonti del diritto internazionale; anche la parola costituzione è usata nella diritto internazionale (segnatamente dall’Organizzazione internazionale del lavoro e dal comitato olimpico internazionale); è riconosciuta l’esistenza di due diritti, uno superiore, uno inferiore, con un corpo di regole che governano strutture e procedure; vi sono basi costituzionali del diritto amministrativo globale; è in corso di affermazione un ordinamento giuridico unitario, grazie al legame tra diversi regimi internazionali e alla formazione di un insieme di regole comuni; si è sviluppato un sistema globale di tipo giudiziario, con più di cento corti che dialogano con quelle nazionali, oltre a organismi quasi giurisdizionali; anche se non c’è, in sede globale, una democrazia rappresentativa, c’è tuttavia un forte sviluppo che la democrazia deliberativa; il valore della democrazia è riconosciuto nei trattati internazionali, è da essi promosso e si sta affermando un diritto dei popoli alla democrazia.

 

Ma non permangono differenze tra l’ordinamento globale e quelli nazionali?

Ve ne sono due. Le costituzioni nazionali sono strumento di controllo dei poteri esecutivi nazionali, mentre nell’ordinamento globale non esiste un potere esecutivo, se non molto rudimentale. In secondo luogo, i principi della costituzione sono alimentati dalle tradizioni costituzionali nazionali e da quelle comuni.

 

Che libri consiglierebbe di leggere a chi volesse continuare a pensare lungo questa stessa linea?

Serge Gruzinski, La macchina del tempo. Quando l’Europa ha iniziato a scrivere la storia del mondo, Milano, Raffaello Cortina, 2018, secondo cui la globalizzazione prende il suo avvio nel ’500. Michael Billig, Nazionalismo banale, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2018, che insiste sulla persistenza dello Stato e del nazionalismo e sulla coesistenza di comunità globali e Stati. Giulio Andreotti, Diari 1976 – 1979, Milano Rizzoli, 1981, p. 284 – 289, dove si può toccare con mano la fitta rete di rapporti globali tra governanti nazionali.

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