Il libro perfetto

Umberto Silva

La notte, le divine poesie di Hölderlin da una parte, gli inferni di Cioran dall’altra

Meglio un pessimo giornalista o un pessimo ciabattino o un pessimo barista piuttosto che un mediocre scrittore. Meglio persino un pessimo scrittore. Il pomeriggio di una decina di anni fa entrai in una maestosa libreria. Cercai un libro che mi piacesse ma poi decisi di andarmene a mani vuote, il che spesso provoca in me una sensazione di libertà assai gradevole. Ma quando stavo per uscire, suonò il campanello che indicava un furto. Mi saltarono addosso in tre commessi, guidati dal lor capo. Mi frugarono ovunque, mi spogliarono, invocarono la polizia; io restavo imperturbabile, catturato da un godimento senza fine. Dopo affannosa ricerca uno dei ragazzi porse al capo il temibile oggetto della mia delinquenza: un pezzetto di cellofan che mi era rimasto appiccicato alla camicia. Smarriti si fecero i volti dei quattro, chi con la faccia a terra, chi con la faccia al muro. Silenzioso, allargando le braccia come uno sparviero della morte, volai su e giù per l’immensa libreria abbattendo via via tutti i libri che incontravo; una ragazzina mi seguiva ridendo, eccitatissima. Nessuno osò fermarmi. Uscendo, tutti i campanelli squillavano. Sempre lietamente torno in quel luogo, la cui celebre proprietaria ho avuto il piacere di frequentare in gioventù.

 

Il godimento e la gioia che in tanti anni Cioran mi ha regalato, sono immensi, la sua grandezza è ineguagliabile. Riuscii persino a carpire per la mia piccola casa editrice un fantastico inedito del Genio: “Fascinazione della cenere”. Oggi ho preso in mano un divino Cioran appena stampato, e non sono riuscito a leggerlo. Scriveva con il suo stile superbo ma la testa mi si svuotava, personaggi e parole svanivano, tutto si dissolveva nelle mie mani spaventate, spaventose. Che io sia totalmente rimbecillito dice della gloria eterna del Grande Rumeno, che terrò con me per il resto della mia miserabile esistenza. Già lo tocco, il perfetto Adelphi, lo accarezzo, apro e chiudo, lo amo appassionatamente, lo desidero ma so che è lontano, vicinissimo, troppo vicino un sole che non si può guardare. Negli ultimi anni della sua vita Cioran era impazzito, mi auguro di seguirlo nella sua follia, che la mia le sia da maggiordomo. La notte, le divine poesie di Hölderlin da una parte del letto, gli incomparabili inferni di Cioran dall’altra, supremi dèi che illuminano il mio nulla.

 

La letteratura che amo, in quella montagna che raramente attraverso, è quella della morte. Non i ragazzi o i fratelloni che cadono giù come pere, o l’apologia della scalata, del pane e del vino e tutti beati con gli sci ai piedi e il giubbone e la sana virtù del silenzio e della pacca sulla spalla, con l’animale d’appresso o in lontananza, quanto i morti di un tempo, quelli che abitavano le antiche regge o andavano a consumarsi nella Montagna Incantata, e quando uscivano dal male incontravano una pallottola. Un Addio alle armi, superbamente misterico ed isterico, cui mai nessuno dice addio.

 

Ho scritto una ventina di libri, tre di loro mi fanno schifo, altri quattro un po’ di pena, due mi annoiano, trovo piacevoli il resto ma raramente vado a trovarli. Preferisco gli schifosi e i penosi, mi chiedo come ho potuto metterli al mondo, come ho potuto essere un Barone Frankenstein senza cuore. Li accarezzo, supplico le Creature di perdonarmi, sorrido con loro, a volte piango. Una volta pensai di ucciderli gettandoli nel camino, che si spegnessero in una divorante fiamma, ma desistetti; salvai uno di loro che brutalmente avevo scaraventato nel fuoco e ora è un po’ bruciacchiato: è quello a cui voglio più bene, un povero scemo.

 

Ho concluso il più recente mio libro, “Papa Carlotta” e Sofia, che ha disegnato la graziosa copertina, mi dice che questa notte mi avrebbe letto passo per passo, prima di consegnarmi all’editore. Me l’avrebbe censurato, il libro, per non dire stracciato, tutto quanto, come sua abitudine. Qualche giorno fa me l’ha consegnato intatto. Per la prima volta Sofia si è innamorata. Così se ne frega di purificare i miei libri, e comincia a fregarsene anche di suo padre, quel padre che soltanto delle bastonate di sua figlia va ghiotto.

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