Meriem, la Giuditta padovana

Umberto Silva
Vent’anni, una testolina con berretto, capelli abbondanti e neri su occhi neri, sguardo dal basso in su, un bel visino insomma, simpatico e attraente quando in quel di Padova faceva vita di spritz e di scuola.

Vent’anni, una testolina con berretto, capelli abbondanti e neri su occhi neri, sguardo dal basso in su, un bel visino insomma, simpatico e attraente quando in quel di Padova faceva vita di spritz e di scuola. A prima vista un’allegra birichina questa Meriem, che diventasse un’appassionata tagliatrice di teste sarebbe stato impossibile pensarlo, hanno riso tutti quanti all’idea, quasi tutti, finché la fanciulla ha preso un aereo e da un anno sta in Siria, a Raqqa. Il suo primo compito? Castigare le mani delle donne che le tengono scoperte. Chissà in quale girone della sua “Psychopathia Sexualis” Krafft-Ebing l’avrebbe messa, perché sì, c’è odore di sesso.

 

Che ci fa lì la ragazza? Lo dice in una lettera che manda a una sua amica insieme alla foto di una decapitazione: “Non puoi immaginare quanto ho goduto ieri, non vedo l’ora di piegare uno e tagliargli la testa”, immagine sadosodomitica quanto poche altre. Anche se inneggia ad al Baghdadi e soci, quel che interessa a Meriem pare non sia la vittoria del Califfato quanto il proprio personalissimo piacere di mozzare la testa a qualche maschietto, fatta eccezione per al Baghdadi, forse, ma neppure lui esclusivo: se le piace così tanto, prima o poi taglierà la testa anche al gran capo, sulla scia di Giuditta, che peraltro aveva ben più nobili motivazioni, come ci illustra il bronzo di Donatello e le tante teste di Oloferne che viaggiano nei secoli con Mantegna, Correggio e Caravaggio, e su tutti Artemisia Gentileschi, la pittrice stuprata. La ragazzina tutto pepe che turbava alunni e professori della scuola di Piove di Sacco pare presa da un calcolo differente: castra l’altro, realisticamente, nel disperato tentativo di allontanare da sé ogni traccia d’impossibile; rifiutando di interrogarsi, taglia l’altrui lingua, immergendosi nel godimento perverso della paranoia. Da dove tutto ciò origina è mistero, per ora.

 

Le teste mozzate, il pensiero separato dal corpo a monito di eterna schiavitù, è sempre stato appannaggio degli uomini. Alle donne era lasciato il triste compito di piangere sulle teste dei loro cari ma anche su quelle dei bei giovanotti, anche se nemici o traditori. Nello stendhaliano “Il rosso e il nero”, l’implacabile giovinetta Mathilde de la Mole gira in carrozza stringendo e baciando spasmodicamente la testa del suo amato Julien che a ogni costo ha voluto morire, accusando la corte e così sfuggendo all’opulento matrimonio. Letteratura ma, come spesso in Stendhal, birbone ammiccante, a puntellare il tutto c’è un vero avo de la Mole, Joseph Boniface, a sua volta decapitato con tanto di moglie baciante.

 

Ma ci sono anche donne ben poco amorevoli: “Ho baciato la tua bocca Yokanaan!”, la Salomè di Oscar Wilde baratta il proprio corpo esigendo la testa mozza di Giovanni Battista. Possiamo ricordare anche la Bloody Mary d’Inghilterra, la tenebrosa regina che per restaurare il cattolicesimo tagliò la testa a centinaia di protestanti, col risultato che appena morì tutti cambiarono bandiera, che se il paradiso era quello… Dalle tricoteuses sappiamo quanto il taglio di una nobile testa possa far montare le loro, ma quella che la nostra Meriem invidierebbe è la russa Madame Popova, che a fine Ottocento scannò trecento uomini, tra piacere e denaro, instancabile e lussuriosa, finché fu spazzata via da qualcuno assai più avido di sangue: la Rivoluzione d’ottobre, con annessi e connessi.

 

Ma quelli sono russi, geniali e terribili, questa nostra ragazza è una sciocchina e va presa a sculacciate, in un riformatorio o in una gabbia, che costei sarebbe capace di decapitare i suoi compagni di spritz e di ballo, traendone grande piacere. Che ci sia di mezzo un amore non ricambiato? Una vendetta? Certo la sua furia è fuori dal comune; santo cielo quante volte si dice e si sente dire: ti taglierei le orecchie, ti taglierei le dita, ma è un dire per dire, fin benevolo. Questa invece dice e fa: qui è la differenza. Intrigante Meriem, scientificamente perturbante. L’altro ieri parlavo con un amico che fa il mio stesso lavoro. Mi diceva che gli sarebbe piaciuto psicoanalizzare quella tipetta, e i suoi occhi brillavano.

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