L'ingresso della metro Colosseo

Il cervello elettronico alla fermata Colosseo della metro di Roma

Pietrangelo Buttafuoco

Non sembrava potesse mai tornare a vita nuova il coso, tutto di colore ghiaccio, quando la carezza distratta di una pendolare...

Quello che un tempo si chiamava cervello elettronico – un elaboratore, ovvero un computer – se ne sta dimenticato dal 1955 in un anfratto sotterraneo, all’altezza della fermata Colosseo della metropolitana di Roma. Lo si può raggiungere dalle gallerie e lì, il coso, offre riparo ai nidi di ragno, complicati forse più degli elettrodi capaci magari di calcolare, disegnare e scrivere ma non di fare capolino tra i filamenti dell’oscurità. Ci sono diecimila valvole collocate a far cornice – e tante anche dentro, custodite dai portelloni – sul corpaccione della macchina lunga più di dieci metri. Non sembrava potesse mai tornare a vita nuova il coso, tutto di colore ghiaccio, quando la carezza distratta di una pendolare – ieri, giusto alle sette e mezzo del mattino – ha fatto accendere una dopo l’altra le valvole e così far partire i convogli verso una destinazione speciale: la tenerezza. C’era Diana Cacciatrice tra la folla dei viaggiatori. Incuriosita delle luci s’avvicinava all’elaboratore, toccando e poi girando quasi tutte le manopole per poi digitare, in analogico, chissà quale domanda. E la risposta, neppure aspettando a lungo, era solo questa: “Amare ciò che è vuoto svuota il cuore (ed è una stanza vuota, il cuore)”.

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  • Pietrangelo Buttafuoco
  • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.