Di Maio non vuole un incidente diplomatico con l'Egitto sul caso Zaki

Francesco Maselli

    Roma. Il governo italiano segue con attenzione la vicenda di Patrick George Zaki, lo studente egiziano dell'università di Bologna arrestato al Cairo, anche se, secondo le informazioni raccolte dal Foglio, non è in agenda un cambio di atteggiamento nei confronti dell'Egitto, considerato un partner fondamentale. L'Italia “è in campo per il rispetto dei diritti umani”, come ha detto il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, e cercherà di coinvolgere l'Unione europea per seguire la questione, ma non intende creare un incidente diplomatico con l'Egitto. E' questa la linea del ministero degli Esteri condivisa con la presidenza del Consiglio, che esclude di richiamare l'ambasciatore Giampaolo Cantini. Le pressioni da parte dell'università di Bologna, che giudica l'arresto “un atto gravissimo”, esistono, come dimostra il comunicato approvato dal Consiglio studentesco: “Si prenda in considerazione l'ipotesi di rivedere i rapporti con l'Egitto fino alla possibilità di richiamare il nostro ambasciatore”.

    Difficile immaginare ipotesi del genere, ci spiega una fonte diplomatica: “Non è pensabile assimilare il lavoro che stiamo conducendo per Giulio Regeni con quello per Patrick Zaki. Si tratta di uno studente egiziano, non è un cittadino italiano, quindi la situazione è diversa: non possiamo andare troppo oltre con il Cairo, non ha senso mettere in difficoltà le aziende italiane che lavorano in Egitto o spendere capitale politico in una vicenda non legata all'interesse nazionale”. Anche perché sono le indagini sulla morte di Giulio Regeni che assorbono parte dell'attenzione della nostra diplomazia: in un'intervista concessa al Corriere della Sera e a Repubblica, Luigi Di Maio ha spiegato che la strada maestra è recuperare la cooperazione tra le due magistrature, ma per ottenere passi in avanti seri in tal senso è necessario aspettare la nomina del nuovo capo della Procura di Roma. Nel frattempo, ragionano al ministero degli Esteri, il ruolo dell'ambasciatore Cantini è fondamentale e non avrebbe alcun senso privarsene. L'Italia si muove con cautela anche perché vorrebbe recuperare il terreno perduto negli ultimi anni nei rapporti economici visto che l'export italiano in Egitto è diminuito sia nel 2018 che nel 2019. Una strategia diplomatica in cui domina la realpolitik: il Cairo è considerato un alleato fondamentale in una regione sempre più instabile, specialmente nel Mediterraneo orientale, dove l'Eni possiede notevoli interessi nei nuovi giacimenti di gas.

    Per ora alla Farnesina si esclude anche l'idea di bloccare la vendita all'Egitto delle due fregate multimissione (Fremm) costruite da Fincantieri, navi da guerra già pronte che dovrebbero essere convertite prima di essere consegnate e fanno parte di un contratto più ampio che prevede l'acquisto, da confermare, di altre quattro fregate. Non sarebbe un mezzo di pressione efficace: “Gli egiziani si rivolgerebbero altrove”, glissa un diplomatico italiano, riferendosi in particolare alla Francia. L'opinione pubblica transalpina aveva visto nell'accordo tra la marina italiana e quella egiziana un segno delle difficoltà di Parigi in Egitto: “Un nuovo schiaffo per la Francia”, aveva titolato il 4 febbraio il settimanale La Tribune. Al ministero degli Esteri vorrebbero che la situazione non cambi.

    La distensione dei rapporti con l'Egitto è in corso nonostante le divergenze sul dossier libico, in cui il Cairo è un grande sponsor del generale Khalifa Haftar. Ieri Di Maio ha passato la mattinata nella capitale libica, dove ha incontrato il ministro dell'Interno Fathi Bashaga e il presidente del Consiglio libico Fayez al Serraj. Di Maio avrebbe dovuto incontrare a Bengasi anche Haftar, ma il generale ha annullato all'ultimo momento l'incontro: l'Italia non ha molto da offrire al generale, ed è considerata una potenza secondaria per la risoluzione del conflitto. E' possibile che Di Maio recuperi oggi, tornando di nuovo in Libia, stavolta a Bengasi.

    Francesco Maselli