Mentre il Pd cerca di rilanciarsi, Renzi e Calenda si alleano

Insieme in Puglia contro Emiliano e poi nelle suppletive. “Un'alternativa da costruire ovunque”, dice Richetti. Pure a Roma

Valerio Valentini

    Roma. Leggono le agenzie che arrivano da Contigliano, dove il Pd è riunito in meditazione, e si fregano le mani: “Se tutto è fermo fino al 2023, tutto è in movimento”. Poi dal manipolo di parlamentari di Italia viva raccolti in capannello in Transatlantico si stacca Ettore Rosato, gran manovratore a Montecitorio, e la spiega così, la fuga in avanti di Matteo Renzi: “Il Pd ha stabilito che il suo futuro sta nell'alleanza con il M5s. La nostra strada è diversa”. Mani libere, insomma. E siccome l'ex premier con le mani in mano non ci sa stare, ecco che subito le usa per accendere la miccia: “In Puglia, nella terra che rappresenta l'emblema dell'alleanza culturale tra il Pd e il grillismo, presenteremo un candidato diverso da Emiliano”. Di ritorno dal ritiro spirituale dell'abbazia di San Pastore, Matteo Orfini allarga le braccia con l'aria di chi osserva l'accadere di una cosa inevitabile: “D'altronde, se noi del Pd garantiamo la stabilità ma non alziamo l'asticella delle nostre proposte, a chi non vuole questa alleanza organica col M5s apriamo una prateria”.

    Dove corre, oltre a Renzi, anche Carlo Calenda. Il quale, nella sua coerente fermezza antigrillina, aveva già proposto al leader di Iv un accordo che prevedesse il sostegno congiunto a Fabiano Amati nelle primarie del Pd pugliese di domenica scorsa. Il fiorentino era rimasto a guardare, preparando la contromossa. Che Calenda – dopo avere accarezzato addirittura l'idea di schierarsi col meloniano Raffaele Fitto – apprezza via Twitter: “Bene, Matteo. Troviamo un candidato da sostenere insieme in Puglia contro Emiliano e il centrodestra anche con +Europa. Adelante”. Il portacolori andrà individuato: “Non sarà Teresa Bellanova, che resterà nel governo”, dice Renzi a chi lo interpella. “Ma sarà una candidatura sorprendente”. E subito quello della Puglia, dove si vota a primavera, più che un caso isolato si configura semmai un laboratorio.

    Perché in un attimo la suggestione che circolava da giorni si materializza coi connotati della certezza: “Ci presenteremo da soli alle tre suppletive, così la smetteranno di dire che stiamo al 3 per cento e non contiamo nulla”, conferma l'ex premier. E la proposta, anche qui, raccoglie subito proseliti. “Quella di una convergenza con Italia viva è una prospettiva a cui noi di Azione ovviamente guardiamo”, dice il senatore Matteo Richetti, scudiero fidato di Calenda. “Si tratta di un'alternativa democratica e riformista che andrà costruita ogni volta che sarà possibile farlo, a partire dalle prossime suppletive”. E così, tra febbraio a marzo, le tre elezioni nei collegi di Roma, Napoli e Terni saranno il campo di battaglia per valutare la consistenza e il peso di “un fronte che si oppone – prosegue Richetti – a quell'orizzonte indicato con pervicacia dall'intero Pd: quello, cioè, di un'alleanza strutturale col M5s”. Nella Capitale, per strappare il seggio del centro cittadino che il 4 marzo fu conquistato da Paolo Gentiloni e che è poi rimasto vacante dopo la promozione dell'ex premier a commissario europeo, si valutano profili di esponenti della società civile. Una soluzione che pare riproponibile anche nel capoluogo umbro, orfano della neo governatrice Donatella Tesei, e in quello partenopeo, dove – manco a dirlo – M5s e Pd stanno tentando d'imbastire, in piccolo, un accordo che potrebbe essere poi riproposto su scala più grande anche alle regionali: e cioè una candidatura unica.

    “Se questa è la prospettiva verso cui si muovono Pd e M5s, noi non possiamo che reagire costruendo una proposta diversa”, dice Roberto Giachetti, che ribadisce la sua convinzione: “La soglia di sbarramento del 5 per cento, che noi non temiamo affatto, spingerà inevitabilmente verso l'aggregazione, altro che la paventata proliferazione dei partitini di cui parla Matteo Salvini”. Quanto alla convergenza tra Italia viva e Azione, il fu sfidante di Virginia Raggi sorride con l'aria di chi spera: “Io non avrei dubbi. Fosse per me, tanto per dirne una, candiderei Calenda a sindaco di Roma. Forse è l'unico che potrebbe farcela: non solo a vincere, ma a governare”.

    Valerio Valentini