un foglio internazionale

I nuovi tabù progressisti

Si cancella la biologia in nome dell’ideologia e si tace per paura del linciaggio militante. Un libro esplora la superstizione wokista. Le Point ha intervistato l'autrice, Peggy Sastre

In “Sexe, science et censure” (Éditions de l’Observatoire), la filosofa Peggy Sastre e il politologo Leonardo Orlando infrangono un tabù: esplorano le differenze tra uomini e donne, che gli attivisti militanti si ostinano a negare nonostante il loro fondamento scientifico. Le Point ha intervistato Peggy Sastre.  


Come è nato questo libro?

Da un senso di esasperazione di fronte a un clima intellettuale diventato soffocante. Nel 2022, insieme a Leonardo Orlando, avremmo dovuto tenere un corso a Sciences Po sugli approcci biologici ed evoluzionistici alle differenze tra uomini e donne. E’ stato cancellato all’ultimo minuto sotto la pressione degli attivisti. Stesso scenario a Berlino, a Harvard, da Google: non appena si ricorda che esistono maschi e femmine, che i cervelli non sono intercambiabili, la macchina ideologica si mette in moto per censurare… Dall’inizio degli anni Duemila, ho visto rafforzarsi un vero e proprio muro di ignoranza volontaria: generazioni di ricercatori sanno che i sessi sono diversi, ma tacciono per paura del linciaggio militante. Questo libro è nato anche per abbatterlo, o quantomeno per indebolirlo, per restituire al pubblico ciò che una parte dell’università gli ha confiscato e per smontare le favole ideologiche che avvelenano i dibattiti sul genere.

Parliamo di queste differenze. Cosa cerca inconsciamente un uomo in una donna?

Principalmente segnali di fertilità: giovinezza, salute, rapporto vita-fianchi vantaggioso. Non perché gli uomini siano stupidi e superficiali, ma perché, per millenni, quelli che sapevano individuare questi indizi hanno avuto più discendenti. Da qui derivano comportamenti maschili ancora influenzati da questa logica, a cui si aggiungono, a seconda del contesto, criteri come la probabile fedeltà, la dolcezza o la capacità di investimento genitoriale.

E che cosa cerca una donna?

Anzitutto sicurezza, ma la sicurezza cambia volto a seconda delle epoche: un tempo era la forza fisica e la capacità di respingere i predatori; oggi sono la competenza, lo status sociale, la capacità di investire nella prole. La femmina umana, come altri mammiferi, ha sempre dovuto agire con prudenza: una gravidanza può uccidere, crescere un figlio richiede anni di sforzi. Diventa quindi selettiva, attenta ai segni di risorse stabili, impegno e capacità di proteggere. E’ razionalità evolutiva. Quando si accusano le donne di essere “venali”, si dimentica che pagano biologicamente un prezzo colossale per ogni errore di scelta.

Lei rifiuta l’idea del patriarcato, del dominio maschile, ma in che modo la teoria della psicologia evoluzionistica contraddice questa teoria? Ossessionati dalla trasmissione dei propri geni, gli uomini hanno sviluppato società che consentono loro di controllare le donne.

Perché è una favola comoda, ma falsa. Ci piace raccontare che la storia umana sia un vasto complotto di maschi uniti per schiacciare le donne. E’ semplice, indica i colpevoli e incoraggia un atteggiamento vittimistico, ma non ha alcun fondamento scientifico. In realtà, la storia della nostra specie è quella di due sessi confrontati con vincoli riproduttivi radicalmente diversi che hanno negoziato, generazione dopo generazione, accordi più o meno stabili. Le donne hanno a lungo scelto gli uomini più forti, più coraggiosi, a volte anche più violenti, perché proteggevano i loro figli e garantivano loro una vita sicura. Gli uomini, dal canto loro, hanno investito risorse e accettato rischi insensati per sedurre queste donne. Il risultato non è un patriarcato pianificato, ma un compromesso conflittuale: le società hanno inventato delle norme per regolare un mercato sessuale naturalmente esplosivo – matrimoni, divieti, morale, leggi – al fine di evitare che la competizione maschile si trasformasse in una carneficina e che l’iperselettività femminile bloccasse la riproduzione. Credere che il patriarcato spieghi tutto significa trasformare la realtà in una serie Netflix: uomini cattivi e potenti contro donne gentili e povere. E significa anche accecare il femminismo: non si combattono le ingiustizie negando le forze biologiche che le determinano.

Ma lo scopo della civiltà non è proprio quello di controllare l’aggressività maschile?

Assolutamente sì, ed è una vittoria enorme. Le società umane non sono mai state oasi di pace e rispetto reciproco. L’uomo preistorico non era un dolce poeta, ma un pericoloso competitore, pronto a correre rischi mortali per conquistare le donne e lo status sociale. La civiltà è costituita da regole inventate per neutralizzare questa energia potenzialmente devastante: alleanze, matrimoni, religioni, diritto penale, polizia, stato. Ma controllare non significa sradicare. Pensare che si possa “decostruire” l’aggressività maschile come si cambia stagione nella moda è ingenuo. Significa ignorare che questi impulsi sono il prodotto di milioni di anni di competizione sessuale. Si possono – e si devono – incanalare. Tuttavia, credere che si possano far scomparire con decreti egualitari equivale a credere che si possa abolire la fame con un comunicato stampa.

La moda dei giocattoli senza genere è una chimera ideologica, secondo lei. Perché bisogna restituire alle bambine le loro bambole e ai bambini le loro macchinine?

Sì, ed è un bell’esempio di negazione della realtà. Le preferenze di gioco emergono molto presto, anche nei bambini che non conoscono né Barbie né Hot Wheels. Le bambine tendono a interessarsi alle bambole, alle relazioni; i bambini si appassionano agli oggetti che rotolano, sparano, esplodono: è una preparazione comportamentale: genitorialità da un lato, esplorazione e padronanza dello spazio dall’altro. Naturalmente si possono regalare camion alle bambine e bambole ai bambini, nessuno si oppone. Ma credere che una politica pubblica abolirà queste tendenze è realistico quanto sperare di rendere vegetariani i leoni. E, soprattutto, negare queste differenze non rende i bambini più liberi: li fa sentire in colpa quando seguono spontaneamente le loro preferenze.

Quando su Instagram si vede l’entusiasmo per i maschi gonfi di creatina e le ragazze truccate in modo esagerato in pose sexy, ci si chiede se non si stia assistendo a una regressione…

Perché i nostri istinti evolutivi non sono scomparsi. I social network funzionano come un gigantesco mercato sessuale: esposizione dei corpi, segnalazione dello status, ricerca di approvazione. Gli steroidi gonfiano i bicipiti, i filtri digitali gonfiano le labbra e ognuno mostra le proprie doti riproduttive su scala planetaria, perché la modernità non fa altro che riciclare codici molto antichi, in questo caso quelli della selezione sessuale, applicati al mondo digitale. E, abbastanza logicamente, quando milioni di potenziali partner possono vederti, ognuno ottimizza i propri segnali fino all’eccesso. Il fatto che la tecnologia abbia permesso l’emergere di ecosistemi così ultra-darwiniani, personalmente, mi affascina.

(Traduzione di Mauro Zanon) 
 

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