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Il foglio internazionale
Gaza ha preso il posto di Black Lives Matter
I palestinesi hanno soppiantato i discendenti americani degli schiavi come fulcro della politica progressista. Esistono legami di lunga data tra di loro, ma prima entrambi i gruppi erano centrali nelle lotte di liberazione. Oggi sta accadendo qualcosa di diverso
Cinque anni fa, i cori di Black Lives Matter risuonavano nelle strade e le istituzioni d’élite subirono una resa dei conti razziale. I disordini erano incentrati su una storia tipicamente americana, in cui i discendenti degli schiavi giocavano un ruolo centrale. Il New York Times aveva appena pubblicato ‘The 1619 Project’, guidato da Nikole Hannah-Jones, che presentava l’eredità della schiavitù come un fatto essenziale della vita americana. Ta-Nehisi Coates aveva fatto lo stesso diversi anni prima in un articolo di copertina sull’Atlantic, sostenendo la necessità di riparazioni. Ora, l’energia degli attivisti e l’attenzione dell’élite si sono spostate su un altro gruppo: i palestinesi hanno soppiantato i discendenti americani degli schiavi come fulcro della politica progressista”. Così Matthew Schmitz nel magazine Compact.
“Questo cambiamento non può essere spiegato con un calo degli omicidi da parte della polizia, la questione che ha scatenato il movimento Black Lives Matter, poiché tali omicidi sono aumentati solo dal 2020. Riflette piuttosto il fatto che la politica progressista è sempre più definita dall’ondata di immigrazione seguita all’Immigration and Nationality Act del 1965. La sinistra è sempre più popolata da americani post ’65, figure come Zohran Mamdani, Ilhan Omar e Rashida Tlaib. Le loro radici in America non risalgono al 1619. Se la politica progressista è meglio intesa come una lotta anticoloniale globale, allora ogni discendente di immigrati non bianchi vi ha un ruolo. Non esiste una Mayflower degli oppressi. Il loro movimento non riguarda solo il Levante. Riguarda anche gli Stati Uniti.
Il giorno dopo il 7 ottobre, ho partecipato alla prima protesta pro Palestina a New York. Uno degli slogan era: ‘Dalla Palestina al Messico, tutti i muri devono essere abbattuti’. La campagna elettorale di Zohran Mamdani per la carica di sindaco è la prima espressione della politica progressista post BLM. Mamdani, nato all’estero da genitori sud-asiatici, gode di un forte sostegno da parte degli asiatico-americani e di un debole sostegno da parte dei neri. Solo il 41 per cento dei newyorkesi neri preferisce Mamdani, rispetto al 49 degli ispanici e al 69 di coloro che non sono né neri, né ispanici, né bianchi. Esistono legami di lunga data tra attivisti afroamericani e palestinesi. Ma quando questi legami si sono formati, entrambi i gruppi erano centrali nelle lotte di liberazione percepite nei loro paesi. Oggi sta accadendo qualcosa di diverso. Gli afroamericani vengono sostituiti dai protagonisti della liberazione negli Stati Uniti. In un’importante recensione di ‘Between the World and Me’, R. R. Reno ha osservato che l’opera di Ta-Nehisi Coates può essere intesa come un tentativo di resistere ‘all’assorbimento in un mondo multiculturale in cui essere neri non è più così speciale’. Il viaggio di Coates in Palestina è un’ammissione del fallimento.
Al suo posto è emersa una campagna globale contro il colonialismo. Normalmente, la decolonizzazione è intesa come una lotta contro gli arrivi più recenti da parte di coloro che hanno origini locali più antiche. In America ha un significato quasi opposto. E’ il progetto attraverso il quale i recenti immigrati e i loro figli affermano la loro priorità morale su coloro i cui antenati sono qui da secoli. E’ diretto contro i bianchi, ma i suoi effetti saranno avvertiti da chiunque abbia radici più profonde”.
(Traduzione di Giulio Meotti)


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