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un foglio internazionale

La bandiera dell'odio

Il vessillo palestinese, promosso dall’Iran e allegramente brandito in Europa, è diventato l’emblema di un’inquietante islamizzazione. L'articolo del Figaro

I disordini scoppiati in diverse città sabato 31 maggio dopo la vittoria del Paris Saint-Germain in Champions League hanno in comune alcune caratteristiche preoccupanti – scrivono Gilles Platret, Emmanuel Razavi e Matthieu Ghadiri sul Figaro. In molti di essi, la bandiera palestinese – escludendo tutte le altre – è stata brandita come un simbolo di adesione a una causa. E’ vero che la sua diffusione, sullo sfondo della tragedia umanitaria di Gaza, la rende un potente simbolo politico, ma viene regolarmente promossa da una potenza ostile alla Francia: la Repubblica islamica dell’Iran. Per comprendere la minaccia rappresentata dalla sua diffusione all’interno della nostra società, dobbiamo risalire all’avvento della Repubblica islamica dell’Iran nel 1979. Il suo fondatore, l’ayatollah Khomeini, vedeva l’occidente come una fonte di “corruzione morale, materialismo e ateismo” che doveva essere islamizzato. Riteneva necessario sradicare ogni forma di occidentalizzazione in medio oriente, annientando lo Stato di Israele e portando il caos in occidente.

Per assicurarsi il sostegno arabo, Khomeini ricevette Yasser Arafat a Teheran il 17 febbraio 1979 (Arafat fu il primo leader straniero a visitare l’Iran rivoluzionario, alla guida di una delegazione dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina dove figurava un giovane Mahmoud Abbas, attuale presidente dell’Autorità palestinese, ndr). Accanto al capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, Khomeini convalidò l’idea secondo cui “la strada della Palestina passa dall’Iran”, affermando che sostenere la causa palestinese era un “dovere religioso”. Tuttavia, i servizi segreti iraniani volevano attirare non solo i credenti, e nel 1980 iniziarono a reclutare in tutta Europa intellettuali e attivisti di sinistra che simpatizzavano per la causa palestinese. A tal fine, utilizzarono la rete delle ambasciate iraniane nel mondo. Mentre gli attivisti rivoluzionari marxisti avevano già fatto della kefiah un elemento della loro comunicazione, le nuove reclute della causa palestinese cominciarono a sventolare la bandiera sempre più frequentemente nelle manifestazioni. Lo stesso vale per i Fratelli musulmani, che capirono l’importanza di usarla per combattere contro Israele e le democrazie che sostenevano lo stato ebraico. Brandita in tutte le occasioni, è diventata uno degli emblemi della convergenza tra gruppi islamisti e marxisti, che hanno praticato un discorso di vittimismo di fronte ai media, predicando allo stesso tempo a favore della rivoluzione presso i loro discepoli

 

            

        

Negli ultimi mesi, alcuni sostenitori della Repubblica islamica dell’Iran, che hanno abusato di questa bandiera sui social network, sono stati arrestati dalla polizia francese per il loro sostegno all’“asse della resistenza”, che riunisce gli alleati regionali di Teheran come il movimento palestinese Hamas, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina e Hezbollah. Il 28 febbraio, Mahdieh Esfandiari, una donna iraniana di 35 anni, è stata arrestata a Lione e incarcerata con l’accusa di “apologia del terrorismo” per la sua partecipazione a “un canale di informazione pubblica Telegram pro-palestinese”. Il 22 aprile, Shahin Hazamy, influencer francese di origine iraniana e algerina che aveva partecipato ai funerali del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, è stata arrestata e processata con la stessa accusa. Oggi solo pochi rappresentanti politici, soprattutto sindaci, osano mettere in guardia dalla manipolazione della causa palestinese e della sua bandiera a fini di destabilizzazione. Ma per questo vengono sistematicamente accusati di islamofobia e le loro ordinanze vengono contestate nei tribunali amministrativi. 

Questa situazione è ancora più preoccupante se si considera che negli ultimi anni, secondo gli esperti di intelligence, i servizi segreti iraniani hanno cercato di avvicinarsi a gruppi legati alla malavita algerina, con l’obiettivo di fomentare disordini nelle periferie. E’ il caso di Chalon-sur-Saône, una città nel sud della Borgogna. Nella notte tra sabato 31 maggio e domenica 1° giugno, più di 200 giovani di età compresa tra i 15 e i 20 anni si sono riversati nel centro della città dai quartieri popolari, con l’intento di attaccare gli agenti di polizia. “Non ci sentiamo affatto francesi e per questo faremo di tutto per sfogare il nostro odio contro questi poliziotti!”, ha scandito uno di loro, tra colpi di mortaio, proiettili e sventolio di bandiere palestinesi. Brandite contemporaneamente a Parigi e in altre città, filmate e poi riprese dagli influencer sui social network, queste bandiere hanno mostrato che il nostro paese ha una forza ostile, organizzata e radicata nel suo territorio. Quanto accaduto a Chalon-sur-Saône è tutt’altro che insignificante. Nelle strade e sui social, gli attivisti che vogliono scontrarsi con la polizia o che affermano di svolgere operazioni umanitarie in nome della causa palestinese sono spesso legati direttamente o indirettamente – come hanno dimostrato alcune inchieste giornalistiche e di polizia – a proxy palestinesi finanziati e armati da Teheran, come Hamas e il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. Ad esempio, la flottiglia Madleen diretta a Gaza, su cui si è imbarcata qualche giorno fa l’europarlamentare della France insoumise (il partito della sinistra radicale guidato da Jean-Luc Mélenchon, ndr) Rima Hassan, annovera tra i suoi coordinatori Zaher Birawi, noto per i suoi legami con i Fratelli musulmani e Hamas. 

Torniamo alla Borgogna. Questa regione ha un ecosistema islamista strutturato dai Fratelli musulmani fin dagli anni Ottanta. Hanno sedi nelle moschee di Digione e nell’Istituto di formazione degli imam di Saint-Léger-de-Fougeret, nel dipartimento del Nièvre. Anche i servizi segreti iraniani vi hanno dispiegato agenti, come dimostra l’arresto a Digione, nel giugno 2024, di Bashir Biazar, che faceva pressioni per conto della forza Quds del Corpo delle Guardie rivoluzionarie islamiche, agli ordini della Guida suprema iraniana. Alla luce di questi elementi, raccomandiamo al governo francese di vietare d’ora in avanti i simboli pro-palestinesi nelle manifestazioni che di fatto servono gli interessi della Repubblica islamica dell’Iran e dei gruppi che sostengono l’“asse della resistenza”. Riteniamo che questo sia il minimo che si possa fare per mantenere l’unità nazionale, che è minacciata, e per scongiurare il rischio di caos che incombe sulla Francia.

(Traduzione di Mauro Zanon)

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