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Un Foglio internazionale
Perché Israele non poteva dimenticare il silenzio del Papa sul 7 ottobre
Dror Eydar, l’ex ambasciatore di Israele in Italia, spiega all'Israel Hayom la decisione di Gerusalemme di mandare una delegazione di basso profilo ai funerali di Francesco
"Per un anno e mezzo abbiamo seguito le bare dei nostri cari brutalmente assassinati il 7 ottobre e dei nostri soldati caduti eroicamente per salvare la nostra nazione, il nostro stato, e per liberare i nostri ostaggi detenuti nei barbari tunnel di Gaza” scrive su Israel Hayom l’ex ambasciatore israeliano in Italia, Dror Eydar. “Ora Israele viene criticato per essersi rifiutato di inviare i suoi vertici al funerale di un uomo che ha accusato i nostri soldati di genocidio e di aver mitragliato bambini, diffondendo accuse del sangue in stile medievale. Papa Francesco non si è limitato a ‘esprimere preoccupazione’, ha diffuso orribili accuse antisemite slegate dalla realtà, a meno che non si accetti la propaganda di Hamas e dei suoi sostenitori. Dall’inizio della guerra, non ha perso quasi nessuna occasione per dipingere lo stato ebraico in colori mostruosi, a volte esplicitamente e più spesso attraverso insinuazioni, ma il suo pubblico ha capito perfettamente: i soldati israeliani venivano raffigurati come le truppe di re Erode del Nuovo Testamento, mandate a massacrare bambini dopo aver appreso della nascita del re dei Giudei".
"Jorge Mario Bergoglio guidò la Chiesa cattolica nello spirito del suo omonimo, Francesco d’Assisi, che sostenne l’allineamento della Chiesa con i poveri e gli oppressi. Questo approccio si sposava bene con il socialismo giovanile di Bergoglio e con la sua visione del mondo incentrata sugli oppressi del mondo. Pertanto, nella sua mente, il 7 ottobre fu probabilmente visto come una giustificata rivolta di vittime impoverite, accolta da una reazione estrema e sproporzionata da parte di uno stato ebraico che commetteva un genocidio contro palestinesi innocenti attraverso i suoi soldati, sotto la guida dei suoi rappresentanti eletti. I fatti, tuttavia, non sembravano preoccupare il Vicario di Cristo, che scelse di credere solo a una parte. Persino l’8 ottobre, quando il sangue dei nostri fratelli e sorelle era ancora fresco, non fece alcun accenno significativo nella sua omelia al vero genocidio compiuto il giorno precedente contro gli ebrei, un’atrocità trasmessa in diretta sui social media dagli stessi assassini. Ricordiamo ancora il silenzio di Papa Pio XII durante l’Olocausto. Francesco non è rimasto in silenzio – se solo l’avesse fatto. Invece, si è espresso contro lo stato ebraico, negando di fatto a Israele il diritto di distruggere i suoi nemici. I suoi continui commenti hanno incoraggiato i nostri nemici in tutto il mondo, in particolare l’asse sciita guidato dall’Iran, i cui leader hanno persino reclutato Gesù stesso nella loro campagna contro Israele. In una coincidenza che fa riflettere, il funerale del Papa si è svolto tra il Giorno della Memoria dell’Olocausto e il Giorno della Memoria per i soldati caduti e le vittime del terrorismo e il nostro Giorno dell’Indipendenza, il nostro periodo sacro nazionale. Nella teologia cattolica, Israele è uno scandalo: invece di accettare la punizione divina e rimanere inchiodato alla croce, il popolo ebraico ha osato fondare uno stato indipendente, in adempimento delle profezie bibliche. In questa nuova realtà, Gesù scende metaforicamente dalla croce, si avvolge in un tallit e torna in vita come ebreo galileo nello stato ebraico, questa volta imbracciando le armi e rifiutando di essere nuovamente crocifisso. Peggio ancora, combatte per distruggere i suoi nemici. Questo era troppo per Bergoglio. L’ebraismo non è solo una religione, ma un’antica civiltà. Il cristianesimo è nato da esso. Il cristianesimo ha ricevuto da noi Gesù e la sua famiglia, la Bibbia e molti concetti religiosi ed etici fondamentali, nonché elementi della pratica religiosa. Il popolo ebraico non è più un mendicante alle porte della chiesa, ma una nazione che esige che la chiesa rispetti il suo diritto a lottare per la propria sopravvivenza, soprattutto quando i fatti sono dalla nostra parte. Israele ha inviato il suo ambasciatore in Vaticano per partecipare ai funerali. Questo è stato sufficiente. La decisione del Ministero degli Esteri, guidato da Gideon Sa’ar, è stata una ventata di aria fresca in un clima diplomatico altrimenti ipocrita. Israele non è una colonia debole ai margini del medio oriente che deve strisciare per ottenere un riconoscimento diplomatico. E’ una potenza regionale che contribuisce ai suoi partner tanto quanto riceve da loro. Le relazioni devono essere basate sul reciproco vantaggio, non sull’accettazione passiva dell’automatica vergogna dei modelli di voto anti-israeliani alle Nazioni Unite. Israele è rimasto fermo nel rivendicare il proprio diritto a non partecipare alla farsa diplomatica e a preservare la dignità dei suoi coraggiosi soldati caduti per la rinascita della nostra nazione. I nostri saggi insegnarono molto tempo fa (nel Talmud, che la chiesa spesso bruciava nel corso della storia): ‘Dove c’è una profanazione del nome di Dio, l’onore non è accordato nemmeno a un rabbino’ (Sanhedrin 82a) – figuriamoci a un Papa. Come insegnò Rashi nell’XI secolo: ‘Saggezza, onore, comprensione e consiglio non si oppongono alla profanazione del nome di Dio’. Lo scorso sabato, Israele ha rivendicato una parte del suo onore nazionale”.


Il foglio internazionale
Il sogno multiculturale è finito
