Un Foglio internazionale
“La guerra contro gli armeni è finita nel punto cieco della comunicazione”
L’intellettuale ebreo francese Marc Knobel denuncia sull'Obs il silenzio attorno alla conquista turco-azera del Nagorno Karabakh
"Alcuni conflitti suscitano emozione, reattività e commenti, sia tra i politici che sui media”, scrive lo storico ebreo francese Marc Knobel sul settimanale francese Nouvel Obs. “Nei conflitti che oggi insanguinano il pianeta, c’è una guerra particolarmente dura condotta dall’Azerbaigian contro l’Armenia, a quattro ore di volo da Parigi. Certo, l’Armenia è lontana e il Nagorno-Karabakh – chiamato anche Artsakh dagli armeni – sembra enigmatico, come se fosse ancora più misterioso. I nostri contemporanei troverebbero difficile localizzarli su una mappa geografica. Questa ignoranza generale è la sfortuna degli armeni. Porta gioia anche ai loro nemici, le forze del pan-turchismo, responsabili del genocidio del 1915, che ne approfittano per portare a termine l’opera di nascosto. E’ così che l’ultimo atto dell’uccisione di questa gente superflua può avvenire proprio in questo momento. Un’entità cristiana, innamorata della democrazia, dei valori europei, la cui plurimillenaria esistenza in quest’area flagellata da ogni forma di totalitarismo costituisce un’eccezione culturale e politica. Non stupisce quindi che, secondo la regola del fanatismo in vigore sotto questi cieli, si tratti di farlo sparire. Da un lato, sulla base di ciò che è; dall’altro, per l’ostacolo geografico che rappresenta per la Turchia e l’Azerbaigian. La fase finale del piano di pulizia etnica è iniziata il 12 dicembre 2022, con i militanti nazionalisti azeri guidati a distanza da Baku che hanno bloccato il Corridoio Lachin, l’unica strada che collega il Nagorno-Karabakh all’Armenia. Risultato: i 120.000 armeni dell’enclave vivono da allora in una prigione a cielo aperto, completamente tagliati fuori dal mondo. Tuttavia, quasi nessuno parla del dramma che si sta svolgendo. E’ vero che la morte per asfissia è meno spettacolare, meno pubblicizzata, di quella provocata dai bombardamenti. Tuttavia, è chiaro che difficilmente avevamo parlato di più del destino degli armeni durante l’autunno del 2020, quando subirono gli assalti congiunti dell’esercito azero e di quello turco, supportati da 2.000 mercenari jihadisti siriani. Questo massacro moderno, perpetrato con l’intera panoplia di armi autorizzate e proibite, uccise 4.500 coscritti armeni in quarantaquattro giorni. Questo è un peso incredibile rispetto ai 3 milioni di armeni che ancora vivono nei loro territori storici. A titolo di paragone, la guerra iniziata da Putin ha ucciso alcune migliaia di soldati ucraini in un anno (tra i 10.000 e i 13.000), per una popolazione di 44 milioni di abitanti. Queste cifre danno un’idea dell’ondata di violenza che si è abbattuta sugli armeni durante questo mese e mezzo. Testimoniano anche, senza sprofondare nella competizione delle vittime, l’ineguale copertura mediatica di queste due tragedie. Come ignorare il fatto che cento anni dopo il genocidio impunito di 1915, i pochi armeni che restano sul poco che rimane del loro suolo ancestrale possono continuare a soffrire dagli stessi aggressori, o dai loro figli spirituali, un identico odio, una violenza della stessa natura?”.
Traduzione di Giulio Meotti