Recep Tayyip Erdogan in visita nelle zone più colpite dal terremoto in Turchia (Lapresse)

Un foglio internazionale

Tra Turchia e Siria, il terremoto ha colpito un grande focolaio di instabilità

Oltre al terribile bilancio umano, il sisma avrà pesanti ripercussioni geopolitiche. L’analisi di Gilles Kepel, specialista del mondo islamico, sul Figaro

"Il terremoto che ha devastato la Turchia orientale e il nord-ovest della Siria lunedì 6 febbraio ha provocato un trauma nella regione e una grande inquietudine in Europa”, scrive Gilles Kepel. “Il numero di morti è di 21 mila (la cifra, dalla pubblicazione del pezzo, è raddoppiata, ndr), e migliaia di edifici sono crollati come castelli di carta, perché molti non rispettavano le norme di costruzione antisismica, soprattutto nella Siria devastata da un decennio di guerra civile e di pessima governance. I governi europei hanno inviato aiuti e soccorritori, che si sono scontrati però con i problemi geopolitici che caratterizzano la regione colpita. I soccorsi alla Turchia sono stati mandati nonostante Erdogan moltiplichi i litigi con la Svezia e la Grecia, e sia in conflitto con la maggior parte delle istituzioni e dei governi europei. La necessità lo costringe temporaneamente a mettere in sordina il linguaggio xenofobo che è diventato uno degli asset della sua campagna per le elezioni presidenziali, previste per il 14 maggio (le conseguenze catastrofiche del terremoto, tuttavia, potrebbero ritardarle). Anche se può utilizzare lo stato di emergenza per mettere il bavaglio ai suoi avversari – Twitter è stato appena disattivato, malgrado il social network abbia svolto un ruolo chiave per le operazioni di soccorso – le gravi carenze e i ritardi nell’organizzazione dei soccorsi rischiano di ritorcersi contro il presidente turco, come lasciano presagire le numerose reazioni furiose delle vittime del terremoto.

 

Quanto ai soccorsi in Siria, il problema è ancora più complicato e sottomesso a dei blocchi politici. Da una parte il regime di Assad è colpito dalle sanzioni internazionali, dall’altra gran parte della zona colpita è sotto il controllo dei ribelli, i jihadisti nella provincia di Idlib, i soldati turchi a Afrin e i curdi dell’Ypg nel nord-est. I ritardi e le lentezze nell’arrivo dei soccorsi moltiplicano le vittime giorno dopo giorno, vittime che muoiono sotto gli edifici crollati perché le squadre di soccorso non possono arrivare sul posto in tempo. Se la Russia e qualche paese arabo inviano dei soccorsi nei territori controllati dal regime di Damasco, la provincia di Idlib resta invece in gran parte irraggiungibile, perché l’unico passaggio autorizzato a partire dalla Turchia è fuori uso a causa del terremoto. La regione frontaliera siro-turca è oggi uno dei peggiori focolai di tensioni geopolitiche, un epicentro le cui linee di frattura si prolungano attraverso tutto il medio oriente e verso l’Europa. Costituisce la soglia attraverso cui passarono, verso l’est, migliaia di jihadisti europei per raggiungere il “califfato” di Daesh alla fine del decennio 2010, e tramite la quale transitano oggi verso l’ovest e l’Europa milioni di migranti originari di una vasta zona che si estende fino al sub-continente indiano.

 

La stampa locale segnala evasioni di prigionieri jihadisti di Daesh che hanno approfittato del crollo degli edifici penitenziari, in un contesto dove la catastrofe umanitaria rischia di tradursi in una recrudescenza delle tensioni e delle violenze, mentre i governi europei sono in allarme rosso sul tema dei campi di detenzione situati in zona curda, campi che si stanno trasformando in nuove cittadelle per Daesh. Gli scontri a fuoco frontalieri tra turchi e curdi sono seguiti con preoccupazione dalle capitali europee, perché la violenza e l’insicurezza rischiano di tradursi in un aumento dei flussi di rifugiati che intraprendono la rotta per l’Europa, esercitando una nuova pressione sulle frontiere orientali dell’Unione. Questo grande focolaio di instabilità è situato anche tra due importanti zone di conflitti internazionali: la guerra russo-ucraina, che è il primo scontro armato di tale entità sul territorio europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale, e la spirale di violenze tra Israele e la Palestina da quando Benjamin Netanyahu è tornato al potere – il direttore della Cia, Bill Burns, paragona l’attuale situazione agli inizi della seconda Intifada nell’autunno 2000 (i cui molteplici attentati suicidi prepararono il terreno all’attacco kamikaze di al Qaida su New York e Washington l’11 settembre 2001).