Foto di Andre Penner, via LaPresse 

Un foglio internazionale

“Le iraniane ci stanno dando una grande lezione di libertà”, scrive il Figaro

La rivolta delle donne a Teheran, a cui partecipano anche gli uomini, non può essere ridotta a un’opposizione binaria tra islam e modernità. È necessario comprendere il significato di sacralità

"Per me fa lo stesso essere ucciso in guerra. Di ciò che ho amato, cosa resterà?”. Questa domanda, posta da Antoine de Saint-Exupéry nella sua lettera al generale X il 30 luglio 1944, risuona nel cuore delle iraniane dalla morte di Mahsa Amini avvenuta lo scorso 16 settembre. Fa lo stesso per tutte queste donne essere arrestate, o peggio, la questione primordiale, ai loro occhi, consiste nel chiedersi: di ciò che hanno amato, cosa resterà? Se lo domanda la giornalista e saggista francese Sonia Mabrouk. Come Saint-Exupéry che si interroga sulla sopravvivenza dei costumi, la permanenza delle intonazioni insostituibili e il ricordo di una certa luce spirituale, le iraniane che si ribellano contro il regime teocratico dei mullah tentano di preservare le vestigia di una civiltà quasi integralmente inghiottita dai fanatici.

 

Questa civiltà ha come obiettivo quello di coniugare la coscienza islamica con la coscienza moderna. Si ritrovano del resto le fondamenta di questa civiltà perduta nello slogan che intonano coraggiosamente per le strade: “Donna, vita, libertà”. Queste tre parole riassumono da sole la questione principale che ossessiona un gran numero di intellettuali nel corso del tempo, ossia la distanza tra le società musulmane e l’evoluzione del mondo. Il poeta Adonis, il teologo Nasr Hamid Abu Zayd, il filosofo Hassan Hanafi o ancora i pensatori della Nahda (“Rinascita”) hanno tutti tentato di analizzare questa distorsione tra alcuni arcaismi persistenti e la marcia del mondo verso maggiori libertà individuali.

 

Una riflessione di questo tipo è fondamentale per capire, al di là delle interpretazioni del Corano, quali sono i blocchi che hanno paralizzato la maggioranza delle società musulmane in un modello grossolanamente passatista e profondamente retrogrado. Tuttavia, mi sembra riduttivo portare avanti oggi questa riflessione opponendo in maniera pavloviana islam e modernità come se si trattasse di due blocchi perfettamente definiti e delimitati. Essenzializzando queste due entità, commettiamo in realtà un errore e non riusciamo a comprendere fino in fondo la rivolta delle iraniane che, lo preciso, viene condotta con numerosi uomini accanto a loro, come testimoniano le recenti manifestazioni.

 

Guardando troppo ciò che accade in Iran con i nostri occhiali di occidentali, si occulta la specificità di questa battaglia per la libertà. Anche se le iraniane, intonando lo slogan “Donna, vita, libertà”, aspirano a un valore potentemente universale che è la libertà di decidere per se stesse, questo valore non risuona comunque allo stesso modo nella psiche dei popoli musulmani e in quella dei popoli occidentali. La differenza risiede nel rapporto con il sacro e il mistero. Nelle nostre società occidentali sempre più desacralizzate, l’invisibile non è più in odore di santità. Spesso ridicolizzato, oggetto di caricature e trattato come qualcosa di desueto, il sacro è sbattuto fuori dalle nostre vite a tal punto che l’uomo cosiddetto moderno, privato di trascendenza, si ritrova senza possibilità di assistere all’apparizione del sacro.

 

Quest’uomo disincarnato, sradicato, castrato nel suo bisogno di spiritualità, si ritrova alla fine completamente nudo (…). Mentre in occidente stiamo svuotando l’universo da qualsiasi riferimento a ciò che illumina l’anima, in oriente, al contrario, continua a sussistere un attaccamento alle figure dell’antichità che permettono ai popoli di restare permeabili all’invisibile, al mistero e al sublime. Questa differenza fondamentale del rapporto con il sacro spiega in gran parte il fatto che non abbiamo la stessa concezione della libertà. Mentre in occidente la libertà è sacra in sé, in oriente la libertà si iscrive in un quadro di pensiero sacro (…). Se le iraniane, così come altre donne del mondo arabo – le tunisine per esempio – si battono per la libertà, lo fanno avendo coscienza dei legami invisibili che esistono tra gli uomini.

 

Lo fanno avendo ben presente nel loro immaginario collettivo la necessità di coniugare questa ricerca di libertà con il desiderio ardente di preservare ciò che rende perenni le civiltà, ossia la presenza del sacro nella società. Qualsiasi essere ha bisogno di fondare la sua vita su qualcosa che è più grande di lui, una forza, un senso, uno slancio verso una ricerca di assoluto. Al di là della libertà, esiste ancora per queste popolazioni un bisogno di rimanere legati alla ricca fioritura della sacralità ben oltre la religione. Certo, il sacro è spesso religioso in terra di islam, ma sarebbe un errore non vedere l’esistenza del sacro al di fuori del religioso.

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