un foglio internazionale

Il vecchio mondo è finito

Ivan Krastev, uno dei più famosi esperti di Europa orientale, analizza la guerra di Putin e come cambieranno la Russia e l’Europa 

"Caro signor Krastev, lei è mai stato al Cremlino?”. Così inizia l’intervista del settimanale tedesco Der Spiegel al politologo bulgaro Ivan Krastev. “No – risponde lo studioso – ma ho incontrato Putin ai margini di una conferenza a Sochi poco dopo l’annessione russa della Crimea”. In quell’occasione il capo del Cremlino denuncio’ l’ipocrisia e lo sciovinismo dell’occidente, usando grosso modo gli stessi argomenti che utilizza oggi. La differenza più importante è che all’epoca il presidente russo non aveva una visione messianica di se stesso. “Se sei stato al potere per vent’anni in uno stato autoritario – spiega Krastev – nessuno osa più contraddirti. Hai creato un sistema, tu sei diventato il sistema, e non riesci a immaginare un paese che non rifletta questa realtà. Non riesci nemmeno a immaginare un successore adeguato. Dunque, pensi di dover risolvere tutti i problemi da solo finché sei vivo. Per Putin la Russia non è più uno stato nel senso tradizionale del termine; è diventata una sorta di entità storica, millenaria. Il capo del Cremlino è ossessionato dall’ipocrisia dell’occidente, e questo si manifesta in tutto ciò che fa il governo russo. “Lo sapevi che la dichiarazione di annessione della Crimea ha copiato quasi parola per parola la dichiarazione di indipendenza del Kossovo, che era stata sostenuta dall’occidente? – domanda Krastev – O che l’attacco su Kyiv è iniziato con la distruzione della torre di trasmissione, come era successo con l’attacco Nato a Belgrado nel 1999? (…).

 
 Putin ci vuole insegnare una lezione. Vuole dirci: ho imparato da voi. Anche se questo significa fare esattamente ciò per cui ci odia. Quella sera a Sochi Putin si era indignato perché l’annessione della Crimea era stata paragonata all’annessione del Sudetenland da parte di Hitler nel 1938. Putin vive di analogie e metafore storiche. I nemici della Russia eterna devono essere nazisti. Dunque, ha immediatamente etichettato il conflitto nel Donbass come un genocidio. Le esagerazioni di Putin sono diventate così estreme che non hanno più alcun senso. E’ diventato ostaggio della sua stessa retorica”. Krastev traccia un ritratto psicologico di Putin, un leader ossessionato “dal tradimento e dall’inganno” altrui. 

 

Nel 2008 il presidente russo ha incontrato Alexei Venediktov, il direttore di Ekho Moskvy, uno degli ultimi canali radiofonici ostili al regime. Putin gli ha chiesto: “Nel mio lavoro precedente, lo sai cosa facevamo ai traditori?”, “Sì lo so”, ha risposto Venediktov. “E lo sai perché parlo con te? Perché sei un nemico, non un traditore”. Secondo Putin, l’Ucraina ha commesso il peggior crimine immaginabile: ha tradito la Russia. Krastev sostiene che i media occidentali hanno dato un’immagine sbagliata del leader russo. Ad esempio, lo hanno descritto come un cinico giocatore d’azzardo, un imbroglione. Nel 2011 Putin disse che le proteste contro di lui erano state organizzate dall’Ambasciata americana e l’occidente rispose che era solo propaganda, che nemmeno lui credesse alle sue parole. “Ma durante quella cena, è diventato chiaro – racconta Krastev – che lui ci crede davvero. Nella sua visione della storia, le cose non succedono mai spontaneamente. Se la gente manifesta, lui non si domanda: perché sono scese per strada? Lui si chiede: chi li ha mandati?”. Un’altra assunzione sbagliata è credere che Putin sia un personaggio razionale. “Invecchiando, Putin sembra essersi radicalizzato e l’isolamento indotto dal Covid di certo non lo ha aiutato. Lui crede di compiere una missione, e non gli interessa più limitare i rischi. Putin fa parte dell’ultima generazione sovietica. Il suo compito da agente del Kgb era quello di difendere  l’Urss. Ma lui e i suoi agenti non sono stati in grado di farcela. L’Urss è scomparsa senza che ci fosse una guerra né un’invasione (…).

 
 Hanno fallito. E credo che Putin si senta in colpa”. Secondo Krastev, il leader russo vive in un mondo parallelo in cui l’invasione dell’Ucraina è semplicemente una “riunificazione”, e la guerra non è altro che “un’operazione speciale” perché non può esserci un conflitto tra due popoli fratelli. Putin si è sempre considerato il padre della nazione, ma in questo conflitto lui sta distruggendo proprio quell’identità russa di cui parla spesso. Nel 2014 gran parte dell’opinione pubblica ha sostenuto l’annessione della Crimea perché non ne ha subito le conseguenze. Oggi invece i soldati russi muoiono al fronte, e sono costretti a uccidere quelli che Putin chiama i loro fratelli. E i civili soffrono l’impatto delle sanzioni. Il presidente russo ha giustificato l’invasione dell’Ucraina dicendo che doveva denazificare il paese. Ma il mito sovietico della resistenza stoica contro il nazismo non è stato rappresentato da Putin ma da Zelensky, che oltretutto è un ebreo, e che da oltre un mese difende il suo paese dall’aggressione di una potenza più grande e più forte.

 

Krastev sostiene che la teoria secondo cui Zelensky è un nazista non è solamente assurda ma “distrugge le fondamenta morali e intellettuali su cui si fonda il mondo nato dopo la fine della seconda guerra mondiale. Una delle regole più importante è che non puoi banalizzare il nazismo. Putin ha violato anche un’altra regola importante dell’era successiva alla Guerra fredda: non parlare delle armi nucleari. Le armi sono lì, lo sono sempre state. Sappiamo che la Russia ne dispone. Lo stesso vale per gli Stati Uniti. Ma negli ultimi trent’anni i politici hanno deciso di non parlarne, né tantomeno di minacciare il loro utilizzo”. “Putin potrebbe spingere il bottone nucleare?”, domanda il giornalista dello Spiegel. “Il suo isolamento può spingerlo a fare di tutto”, risponde Krastev, aggiungendo che l’apparato militare russo non può fare nulla per fermarlo.

 
Al politologo viene posta un’altra domanda: gli ucraini devono combattere una guerra che non possono vincere? Uno studio di Harvard mostra che nella seconda metà del diciannovesimo secolo l’esercito più forte ha vinto quasi sempre mentre nella seconda parte del ventesimo secolo lo schieramento più debole ha trionfato nel 55 per cento dei conflitti. Nonostante questo, Krastev crede che alla lunga l’Ucraina verrà sconfitta anche se un’occupazione russa è piuttosto improbabile a causa della forte resistenza ucraina. Parlando dell’ideologia di Putin, il politologo lo descrive essenzialmente come un anticomunista che è stato influenzato dalle scritture dal generale Anton Denikin dell’Armata bianca, che ha perso la guerra civile negli anni Venti. Nel discorso in cui ha annunciato la cosiddetta “operazione militare speciale”, Putin ha rimproverato Lenin per avere creato l’Ucraina. “E’ stato il discorso di un nazionalista, di un anti bolscevico”. Il presidente russo è animato da una fissazione demografica – crede che la Russia debba assorbire nuovi territori perché si sta spopolando – e dall’idea di una civiltà russa, a cui appartengono anche i popoli slavi. 

 

Nelle battute conclusive dell’intervista Krastev parla di come la guerra abbia cambiato il paradigma dell’occidente. “Le decisione prese sono più drastiche di quanto non potessero immaginare i leader occidentali. I politici hanno fatto queste scelte perché avevano il sostegno degli elettori. Ma questo consenso quanto può durare?”. Le parole chiave della risposta occidentale sono state “solidarietà e resilienza”, quest’ultima significa “che non hai altra scelta. Le cose stanno così. E non sappiamo dove ci porterà tutto ciò”. Secondo il politologo, questa crisi cambierà l’occidente non meno della Russia. “Le persone muoiono, e questo prima o poi succederà anche a Putin. Ma i cambiamenti saranno così profondi che il regime dovrà cambiare per sopravvivere, e lo stesso succederà in Europa. La nostra economia cambierà, così come non sarà più la stessa la nostra visione della libertà e della democrazia. I media sono già cambiati per combattere la disinformazione proveniente dalla Russia. Questo avrà delle conseguenze. Stiamo chiudendo Russia Today e altri canali. Diventeremo meno tolleranti. Così facendo stiamo violando la libertà di espressione? Forse (…).

 
 A causa della guerra e della pandemia, lo stato ha assunto peso maggiore. Durante il Covid, si trattava di prendersi cura dei cittadini e salvare loro la vita. In questa guerra, lo stato non protegge solamente i cittadini ma chiede loro di fare dei sacrifici. Un mio amico lavora in una delle più importanti ‘business schools’ in America. Gli ho detto: tutto ciò che insegni è inutile. E’ come impartire lezioni di socialismo nel 1990. Il mondo della globalizzazione e del libero commercio, in cui l’economia si interessava solamente ai bilanci e non alla politica, sarà presto finito. Non sappiamo cosa succederà in Russia dopo Putin e nemmeno in Europa, che al momento si trova in una fase romantica. Non dovremmo compiere gli stessi errori del 1989. All’epoca pensavamo che l’est sarebbe cambiato drammaticamente, ma l’occidente sarebbe rimasto lo stesso. La Russia cambierà drammaticamente. Ma lo stesso vale per noi”.

 

(Traduzione di Gregorio Sorgi)