Un Foglio internazionale
Quello che la Shoah insegna sugli altri genocidi (vecchi e in corso)
Gli armeni, i tutsi in Ruanda, i bosniaci, i cambogiani, gli yazidi... Tutte queste tragedie hanno qualcosa in comune, scrive il Jerusalem Post
Pubblichiamo un lungo estratto dell’articolo uscito sul Jerusalem Post il 27 Aprile 2021 di Nadav Tariv, "Gariwo, Israele e la memoria dei Giusti" . Tariv è stato un diplomatico israeliano e il consigliere del Presidente Shimon Peres. Ora è il direttore esecutivo di J Street in Israele e Senior Advisor per le relazioni internazionali del Peres Center for Peace and Innovation.
Il riconoscimento del genocidio armeno da parte dell’amministrazione Biden spinge noi ebrei a porci una domanda: è giusto ricercare l’esclusività rispetto al nostro genocidio, cioè l’Olocausto?
Noi ebrei sopravvissuti, e figli e nipoti di sopravvissuti, alla Shoah abbiamo un grande problema che spesso ci assilla in tutte le discussioni: come trasmettere la memoria del più grande genocidio della storia che ci ha colpito e fare in modo che non si ripeta? Su questo argomento ci sono due scuole anche in Israele che spesso si confrontano anche se le posizioni sono spesso variegate e non sempre esplicitate.
La prima sostiene che dovremmo concentrarci esclusivamente sul male che ha colpito gli ebrei e dovremmo sviluppare costantemente una strategia per lottare contro ogni forma di antisemitismo che si manifesti nel mondo. Il nostro compito sarebbe dunque quello di impedire che quanto è accaduto agli ebrei non si ripeta nella storia per nessun ebreo. Questo argomento ha una grande forza perché nel corso dei secoli, sotto varie forme, gli ebrei sono stati considerati i nemici dell’umanità con costruzioni ideologiche fantasiose che hanno caratterizzato non solo esponenti di regimi autoritari e reazionari, ma anche chi era impegnato in battaglie per il progresso e la libertà. Persino Winston Churchill che guidò vittoriosamente la riscossa dell’Europa contro il nazismo, e a cui per questo tutti gli ebrei dovrebbero essere grati, sul “Sunday Herald”, dell’8 febbraio del 1920, aveva scritto (come ha ricordato recentemente Mordechai Paldiel) che gli ebrei dovevano venire considerati colpevoli di avere diffuso nel mondo il bolscevismo, una delle ideologie più pericolose per il futuro dell’umanità. Un argomento tipicamente antisemita che lo stesso Hitler usava per parlare dei complotti ebraici contro la Germania e l’umanità.
La seconda scuola invece sostiene che noi dovremmo impegnarci affinché la memoria della Shoah non sia un insegnamento per i soli ebrei, ma diventi sempre più importante nel mondo, affinché il male che ci ha colpito non si ripeta per nessun essere umano. Questa visione richiede la consapevolezza che altre persone sono state colpite da genocidi e che noi ebrei dovremmo essere i primi a riconoscerlo, e a provare empatia per la loro tragedia. È stata questa la strada che ha intrapreso Raphael Lemkin, un grande giurista ebreo polacco, che sopravvissuto alla Shoah dopo la morte dei suoi genitori nel 1944, non solo ha coniato per primo la parola genocidio, ma è riuscito con la sua ostinazione, nel 1947, a fare approvare alle Nazioni Unite una risoluzione storica che per la prima volta chiamava l’umanità a prevenire e a combattere ogni sterminio che colpisse una minoranza. Egli così ha introdotto dopo l’Olocausto un nuovo comandamento che non esisteva nel Decalogo: non commettere più un genocidio.
Tutte le due scuole sono altrettanto importanti e sarebbe un gravissimo errore contrapporle perché è nostro dovere sia ricordare la singolarità della Shoah, e la storia particolare dell’antisemitismo così diversa dalle altre forme di odio, sia essere in prima fila come ebrei e israeliani nella lotta per la prevenzione di tutti i genocidi. Non dobbiamo tra l’altro dimenticarci che ogni volta che l’umanità ha preso una cattiva direzione, con movimenti e regimi totalitari e disumani, è sempre accaduto che essi abbiano messo sotto accusa gli ebrei con nuove forme di antisemitismo. Quando un male avanza nel mondo prima o poi colpisce gli ebrei e per questo, come aveva capito Lemkin, dobbiamo essere in prima fila nella prevenzione dei genocidi.
Come del resto dobbiamo essere in prima fila nella prevenzione dei genocidi per ragioni morali, anche quando questo non ci riguarda direttamente. Dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che la battaglia contro l’antisemitismo non la possiamo fare da soli, ma abbiamo bisogno di costruire una politica di alleanze e presa di coscienza con il maggior numero possibile di persone. Se non saremo in grado di creare simpatie nel mondo attorno alla nostra battaglia saremmo molto più deboli perché, come aveva compreso Baruch Spinoza, gli ebrei devono unirsi agli altri uomini nella battaglia per la sopravvivenza.
Per questi motivi anche noi in Israele dovremmo prendere in grande considerazione un movimento culturale che è nato in Italia e si è si sta estendendo in Europa e nel resto del mondo. Gabriele Nissim, un ebreo italiano, ha creato una organizzazione chiamata Gariwo (https://en.gariwo.net/).
Gariwo ha universalizzato il concetto di Giusti tra le Nazioni– nato a Yad Vashem per onorare chi aveva salvato la vita di un ebreo – unendo ebrei, armeni, ruandesi, bosniaci e sopravvissuti di altri genocidi. La memoria degli uomini Giusti ha così un doppio significato, ebraico ed universale.
Da un lato, ricordare coloro che hanno salvato gli ebrei e rendere sempre più popolare questo concetto nella lotta all’antisemitismo di ieri come di oggi. Dall’altro, onorare tutti gli uomini che nel mondo si sono battuti per salvare vite umane in occasione di genocidi. In questo modo la memoria della Shoah diventa più potente e attuale, perché in suo nome si ricordano gli uomini migliori che prendono posizione contro ogni forma di prevaricazione e si prodigano per salvare la dignità di ogni persona quando viene messa in pericolo da nuovi fanatici e odiatori.
Con la narrazione dei Giusti, e indicandoli come un esempio per tutta l’umanità, si affronta il tema fondamentale della prevenzione dei genocidi e di ogni forma di male verso gli ebrei e i non ebrei. Infatti, quando noi affermiamo che quel passato non si debba più ripetere, immaginiamo sempre che ci debbano essere sulla scena pubblica uomini che possano impedirlo con il loro coraggio, sentendo il richiamo della propria coscienza. Come è scritto nel Talmud: saranno sempre i Giusti a salvare il mondo (siano essi 30 o 36 o di più...). Immaginare attorno a questo tema una grande alleanza internazionale darà più forza alle battaglie degli ebrei contro l’antisemitismo e l’odio verso Israele.
Gariwo in questi ultimi anni ha creato con questo spirito più di cento Giardini dei Giusti nel mondo: dall’Italia, all’ Armenia, alla Polonia (nel Ghetto di Varsavia), alla Tunisia, fino persino al Kurdistan e il 6 marzo (anniversario della scomparsa di Moshe Bejski, il grande artefice della commissione dei giusti di Yad Vashem), è diventato la Giornata europea dei Giusti, votata nel 2012 dal Parlamento di Bruxelles e nel 2017 dal Parlamento italiano.
Questo esempio potrebbe venire ripreso anche in Israele con la creazione di un Giardino dei Giusti di tutta l’umanità a Tel Aviv o Haifa, senza per questo sminuire il grande valore di quello di Yad Vashem a Gerusalemme. In questo modo il nostro paese potrebbe lanciare un messaggio straordinario di speranza e il ricordo della Shoah avrebbe un impatto ancora più importante. Mostrare che Israele non ricorda solo i non ebrei che hanno salvato ebrei suoi, ma anche tutti coloro che salvano il prossimo dall’annientamento, è una grande operazione morale degna di un grande popolo, di una grande cultura e di un grande paese.
Il primo passo in questa direzione sarebbe riconoscere il genocidio armeno e altri genocidi, smettendo di monopolizzare questo tipo di macroscopiche tragedie umane.
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