Ritratto di Marcello Maloberti. Martellate, Triennale Milano (Fotografia di Andrea Rossetti) 

fauna d'arte

Marcello Maloberti: "Il mio studio è la stanza del mio immaginario. Se ne avessi uno non sarei un artista"

Francesco Stocchi e Gabriele Sassone

"Mi piace l’arte arrabbiata. Un’arte che voglia sempre mettere in discussione il mondo. Non ci rimane che creare delle isole. L’ARTISTA HA SEMPRE FAME". L'arte, la parola e la poesia. Una chiacchierata e un viaggio

Fauna d'arte è una ricognizione intergenerazionale sugli artisti attivi in Italia. Ci facciamo guidare nei loro studi per conoscere dalla loro voce le opere e i modi di lavorare e per capire i loro sguardi sull’attualità. Il titolo si ispira a una sezione di Weekend Postmoderno (1990), il romanzo critico con cui Pier Vittorio Tondelli ha documentato un decennio di cultura e società italiana. A differenza del giornalismo e della saggistica di settore, grazie a “Fauna d’arte”, Tondelli proponeva uno sguardo sull’arte contemporanea accessibile e aperto, interessato a raccontare non solo le opere ma anche le persone, il loro modo di vivere dentro l’arte. 

Oggi questo approccio ci permette ancora di parlare degli artisti, ma in futuro anche delle altre figure professionali come critici e curatori, galleristi e collezionisti, con lo scopo di restituire la complessità di un sistema attraverso frammenti di realtà individuali.


   

Nome: Marcello Maloberti

Luogo e data di nascita: 23/12/66 (Codogno, Lodi)

Galleria di riferimenti ed eventuali contatti social:

Galleria Raffaella Cortese

@martellate_project_

@marcello_maloberti_studio

@galleriaraffaellacortese


   

La casa-studio

     

Foto di Marcello Maloberti, scattate a Milano


     

L'intervista

In che modo hai iniziato a fare l’artista?

Sono stato fortunato ad aver avuto un grande maestro, Luciano Fabro, uno degli artisti più importanti dell’Arte Povera, per ben quattro anni all’Accademia di belle arti di Brera. Sicuramente mi è servito molto per darmi una direttiva. Assistere alle sue lezioni mi ha dato delle sicurezze a livello di contenuti e di modalità di lavoro. Mi ha impartito dei dogmi, dei punti di partenza. L’inizio è sempre un passaggio di testimone. Il mio lavoro comincia da questo suo libro “Arte torna arte”. Fabro mi ha dato la sicurezza di aprire il mio percorso e creare la mia strada. Sono molto importanti questi incontri. Io ne ho avuti diversi nel mio lavoro. Credo molto nell’incontro con l’altro. L’ARTISTA È LO SPAZIO DELL’INCONTRO. Nasce tutto da una necessità di rendere vive le proprie visioni. L’ARTISTA È COLUI CHE HA AVUTO MOLTA VERGOGNA DA PICCOLO E CHE DEVE RITROVARLA NEL SUO LAVORO.

 

Com’è organizzata la tua giornata di lavoro?

Fortunatamente il lavoro, o non-lavoro, dell’artista non è mai uguale. Penso di incarnare perfettamente il binomio arte-vita. Passo dall’insegnamento presso la Nuova Accademia di Belle Arti di Milano, NABA, dove ho la cattedra di Arti Visive, allo scrivere i miei progetti. Si basa tutto, come dicevo, sull’incontro e lo scontro con il mondo, come fossero un corpo collettivo. Uno degli aspetti più belli è scrivere i miei progetti. Nella scrittura ritrovo il corpo, che ora faccio più fatica a ritrovare in altri linguaggi. Ripulisco la mia mente con la parola, mi chiarisco così i pensieri. Mi piace l’idea di imprevisto nel lavoro. L’ESTASI NON SI PROGETTA, si vive. Anche stare da solo aiuta. La cosa bella dell’artista è che vive una sua solitudine, non in senso romantico o struggente ma in una dimensione fertile, felice e adrenalinica. NON PENSARE A NIENTE MI PORTA AL SOVRAPPENSIERO. Sento di avere tra le mani, nella mia solitudine, una moneta antica greca: da un lato c’è Pier Paolo Pasolini, dall’altro Carmelo Bene e sul bordo c’è Kafka. Pasolini per lo sporcarsi con la realtà, Carmelo Bene per lo sporcarsi con il divino e Kafka per il balbettare con il linguaggio. Io non ho metodo. Il mio unico metodo è ricominciare da capo.

 

Che cos’è per te lo studio d’artista?

Io non ho uno studio d’artista, ma una casa-studio. Avendo dei progetti ambiziosi, uno diverso dall’altro, lavoro con vari artigiani in diversi spazi. Anche in questo caso, il dialogo creativo con l’altro è fondamentale. Lo studio, per me, è la camera che non ho. La camera dei pensieri, la stanza mancante. La abito attraverso i miei desideri e progetti. È la stanza del mio immaginario. SE AVESSI UNO STUDIO NON FAREI L’ARTISTA.

 

Quale ruolo ha l’arte nel mondo di oggi?

Mi piacerebbe che il ruolo dell’arte fosse non avere un ruolo. L’arte viene scopiazzata, rimasterizzata, riciclata dal design, dalla moda, dalla comunicazione, dallo spettacolo. Alla fine, crea una grande confusione. Io ho un senso classico e più nobile dell’arte. Il ruolo dell’arte, come diceva Pier Paolo Pasolini, è inconsumabile. L’arte è magica, misterica e spirituale. Ora mi sembra che segua troppo le mode, quando dovrebbe invece rompere una consuetudine e non continuare ad alimentarne il fuoco. In questo momento sento affine al mio pensiero il libro di Walter Siti: “Contro l’impegno”. Mi piace l’arte arrabbiata. Un’arte che voglia sempre mettere in discussione il mondo. Non ci rimane che creare delle isole. L’ARTISTA HA SEMPRE FAME. Dovrebbe essere così, ma vedo troppe aspirine e calmanti nell’aria. L’ARTE È IL NON INTEGRABILE.

 

Che ruolo hanno la parola e la poesia nel tuo lavoro?

Un ruolo totale, totalizzante. Mi viene naturale poetare. Mi piacciono i lavori che nascono prima come battute, che siano più frammenti di frammenti. Mia nonna, che è stata la mia musa, era una poetessa in tutto quello che faceva. Mi ha passato lei questo meravigliarmi per tutto ciò che mi capita davanti agli occhi. QUANDO MIA NONNA MI INSEGNAVA A RACCOGLIERE LE VIOLE; ERA LA BEATITUDINE. La prima forma di parola, per un artista, sono i suoi titoli. Io ho amplificato questi titoli, fino a farli diventare delle opere a sé. Le parole sono corpi tra i corpi e immagini tra le immagini. La parola ora intreccia le mie performance e unisce tutti gli altri miei linguaggi. In questo momento, c’è più bisogno di dire che di mostrare. La parola ‘poesia’, per me, non è solamente intesa come alta. IO SONO TRA L’ALTO E IL BASSO, sono più per il parlato. Io sono A VOCE SCRITTA.

 

A quali artisti ti ispiri?

Ho diverse opere e diversi artisti che sono per me dei riferimenti e a cui mi capita di pensare spesso. Sono una costellazione di riferimenti, quasi infinita da elencare. Cambiano anche in base al mio stato d’animo, alle mie ossessioni, al mondo che mi circonda. Penso che ogni lavoro abbia delle parentele, come ognuno ha diversi sosia nel mondo. È la stessa cosa nelle opere, è tutto molto legato alla natura. Nel fare opera ricerco delle esperienze simili. Per CIELO, la mia opera esposta alla Biennale di Bangkok 2022, mi sono ispirato a Manzoni e al suo Socle du Monde (1961). Amo i lavori meno formali, ma più legati all’esperienza, all’evento, all’azione. Non mi interessa un lavoro formalmente piacevole. Mi piace l’arte della non-fatica, dove tutto deve venire naturale. NON FAR FARE ALLA ROSA CIÒ CHE LA ROSA NON VUOL FARE.

 

In che modo il tuo lavoro si può definire scultoreo?

Penso che il corpo sia scultura. Nelle mie performance, quando i ragazzi tagliano sculture o pitture dai libri, mi accorgo che IL RITAGLIO È LA FORMA SCULTOREA DEL PIANO. Come dice De Chirico nel suo libro “Il meccanismo del pensiero”: la metafisica è la fisicità delle cose. Ma con le nuove tecnologie ed i social, tutto si schiaccia nel mio occhio. Io sublimo la forma del piano. È il vero intreccio tra scultura e pittura.

 

Che cosa stai progettando?

Ho scritto una trentina di progetti. Adesso sto lavorando ad un libro per la Treccani, dal titolo “CUORE MIO” che verrà presentato durante Miart presso la Triennale di Milano. È quasi un libro d’artista. Un progetto con e per Maria Lai, curato da Davide Mariani. Nel libro ci sarà anche un’intervista con Andrea Lissoni e Marina Pugliese. Archivio tutti i miei progetti scritti come delle conserve, delle MARMELLATE dolci.


   

Le opere 

  

LE MONTAGNE SONO I DENTI DI DIO

 

Marcello Maloberti

CIELO, 2022

Bangkok Art Biennale

Installazione performativa

Courtesy dell’artista, Galleria Raffaella Cortese, Milano e Bangkok Art Biennale

Fotografia di Soopakorn Srisakul

  

PIANGERE MAGIA

 

Marcello Maloberti

La vertigine della signora Emilia, 1992

Lambda print, ed. 3, 50x70 cm

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano

 

TU SEI IL NOME DEL MIO GIORNO

  

Marcello Maloberti

CUORE MIO, 2020

Inkjet Print, ed. 3, 50x33 cm

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano

   

INCIAMPARE ORO

 

Marcello Maloberti

Martellate - Amore portami dove sono, 2022

Pennarello su cartoncino, pinze in acciaio

102x72 cm; 134x96x10 cm frame

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano

   

L’ICONA È CANTARE IL TUO NOME

 

 

Marcello Maloberti,

CUORE MIO, 2019

Installazione site specific, Ulassai

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano e Stazione dell’Arte, Ulassai

Fotografia di T-Space Studio

 

L’ARTE È IL NON INTEGRABILE

 

Marcello Maloberti,

…Ma l’amor mio non muore, 2019

Solo Show, Installazione per Artissima

Salone delle Feste, Hotel Principi di Piemonte Gruppo UNA, Torino

Quattordici aquile di cemento

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano

Fotografia di T-Space Studio

  

L’ESTASI NON SI PROGETTA

 

Marcello Maloberti,

Trionfo dell’Aurora, 2018

Inkjet print, ed. 3, 200x120 cm

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano

  

IL PUBBLICO È IL MIO CORPO

Marcello Maloberti,

CIRCUS PALERMO REVIVAL, 2018

Inkjet print, ed. 3, 80x120 cm

Performance per Manifesta12 - Collateral Events 5x5x5

Courtesy dell’artista e Galleria Raffaella Cortese, Milano

   

OGNI MONUMENTO È UN MONUMENTO AL LAVORO

Marcello Maloberti,

I am the Happiness of the World, 2021

Performance

Kestner Gesellschaft, Hannover

Fotografia di Francesca Grossi

 

SE AVESSI LO STUDIO NON SAREI UN ARTISTA 

Marcello Maloberti,

DIE SCHMETTERLINGE ESSEN DIE BANANEN, 2010

Solo Show

Generali Foundation, Vienna

Courtesy dell’artista, Galleria Raffaella Cortese, Milano e Generali Foundation, Vienna

Fotografia di Natascha Unkart

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