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Foglio AI
Cinque mesi di scontri fra Tajani e Salvini. Ed è sempre il ministro degli Esteri a fare gol
Nel centrodestra di governo si consuma una sfida tutta interna, fatta di mosse tattiche e silenzi calcolati. Tra diplomazia, equilibrio e risultati concreti, Tajani consolida la sua posizione lasciando all’altro solo la scena
Nel governo di destra-centro che guida l’Italia dal 2022, la vera guerra non è tra il governo e l’opposizione. E’ tutta interna. Una guerra silenziosa, giocata tra due vicepremier che non si amano e che, a dirla tutta, non si sopportano nemmeno politicamente. Uno si affanna, combatte ogni giorno per ritrovare la centralità perduta. L’altro, apparentemente tranquillo, accumula vittorie come si accumulano francobolli: uno alla volta, senza fare troppo rumore. Antonio Tajani e Matteo Salvini sono, sulla carta, due alleati. Ma basta ascoltarli per capirlo: si parlano come due coinquilini che si tollerano, ma che non farebbero mai una vacanza insieme. E da gennaio a oggi, mese dopo mese, la dinamica si è ripetuta in modo quasi comico: Salvini prende una posizione estrema, Tajani la smussa; Salvini lancia una provocazione, Tajani la ridimensiona; Salvini prova a rientrare nel dibattito, Tajani glielo concede, ma solo a parole.
Si potrebbe fare l’elenco delle volte in cui questo meccanismo ha funzionato a senso unico, ma sarebbe inutile. Bastano le immagini. Quando Salvini, all’inizio dell’anno, ha tentato di aprire un varco per una posizione più morbida verso la Russia – solita retorica sul “serve il dialogo, non solo le armi” – Tajani, con un giro di incontri diplomatici e due dichiarazioni prudenti, ha ricompattato il fronte europeista del governo e ha fatto passare l’idea che l’Italia fosse un alleato pienamente affidabile della Nato. Salvini voleva fare Orbán. Tajani lo ha riportato dentro l’Eurogruppo. Poi c’è stata la questione dei dazi di Trump. Salvini ha fiutato l’occasione di cavalcare il malcontento delle imprese danneggiate, con toni muscolari e proposte ritorsive. Tajani ha scelto la via diplomatica: ha parlato con Blinken, ha rassicurato le imprese italiane, ha portato a casa un comunicato congiunto G7 in cui si parlava di un’Italia protagonista della ricostruzione ucraina e del commercio globale. Salvini faceva il titolista di Libero, Tajani scriveva la nota del Quirinale. Anche sulla giustizia, Salvini ha provato a dettare l’agenda. Sorteggio dei magistrati, processi più rapidi, mano dura. Ma ogni volta, Tajani ha fatto il controcanto: riforme sì, ma condivise; garantismo sì, ma senza sparate; equilibrio sì, ma con i tempi giusti. E anche lì, la linea che passa è la sua. Salvini urla, Tajani detta. Salvini polemizza, Tajani scrive.
Cosa ci dice tutto questo? Che nel laboratorio instabile della destra italiana, Tajani ha trovato un modo tutto suo per tenere dentro l’alleato scomodo senza lasciargli toccare palla. Sul campo, le decisioni vere le prende lui. Salvini sembra l’oppositore del governo di cui fa parte. Tajani sembra il ministro di un esecutivo che ha già deciso come continuare anche senza di lui. Non si prepara per vincere le elezioni, non cerca lo scontro, non cerca la gloria. Ma nel frattempo ha vinto tutte le partite che contano. E nella destra italiana di oggi, non è poco.