Foto NASA via Unsplash
il figlio
Quattro astronauti e due cosmonauti: la terra vista da lassù, senza confini
Orbital di Samantha Harvey è un libro strano, ambientato tutto in una navicella spaziale, dove accade molto poco, ma è un libro magnetico
Mentre guardavo Donald Trump dire all’Onu che l’Europa è in pericolo perché “invasa da migranti” e che “il riscaldamento climatico è una bugia” stavo finendo di leggere Orbital di Samantha Harvey (NNE Editore) in cui quattro astronauti e due cosmonauti viaggiano in orbita attorno alla Terra, a bordo di una stazione spaziale. Vengono dall’America, dalla Russia, dall’Italia, dalla Gran Bretagna e dal Giappone. La loro vita è fatta di momenti in cui preparano pasti disidratati, fanno ginnastica per non perdere massa muscolare, compiono piccoli esperimenti, dormono a mezz’aria in assenza di gravità, stringono legami tra loro per sottrarsi alla solitudine, come se fossero una famiglia, cosa che di fatto sono. Ma soprattutto i sei protagonisti osservano la Terra con meraviglia, preoccupazione, stupore, nostalgia.
“Durante l’addestramento erano stati avvertiti [...] Vedrete la sua pienezza, l’assenza di confini se non la linea tra mare e terraferma, dicevano. Non vedrete paesi, solo una sfera rotante che non conosce possibilità di divisioni, e tanto meno di guerre. E vi sentirete tirati in due direzioni simultaneamente [...] Perché ovviamente sapete che le guerre abbondano e che la gente uccide e muore per i confini. Mentre quassù ci può essere il lieve distante incresparsi della terra che suggerisce una catena montuosa o una vena che fa pensare a un grande fiume ma nient'altro. Non ci sono muri o barriere e nemmeno tribù, guerre o corruzione, né particolari motivi per cui avere paura”.
Orbital è un romanzo poetico che toglie la paura e di questi tempi ditemi se è poco. E’ un canto d’amore alla bellezza dell’universo e del nostro pianeta, che osservato da lontano è un gioiello precario e prezioso, senza quei confini per i quali qui giù ci si ammazza, si litiga, ci si spara. Lassù le frontiere non si vedono e tutto questo ammazzarsi e litigare sembra assurdo e senza senso. Tuttavia si notano bene gli effetti del cambiamento climatico, che si concretizzano, anche visivamente, in un tifone che attraversa le Filippine, come il tifone Ragasa che pochi giorni fa ha devastato alcuni paesi dell’Asia. Nel libro Pietro, l’astronauta italiano, osserva il tifone muoversi e pensa a un suo caro amico, un pescatore filippino, che ha conosciuto qualche anno prima. “Scappa” pensa Pietro dallo spazio. “Dove vuoi che vada?” pensa il pescatore dalla Terra.
Orbital, romanzo vincitore del Booker Prize 2024, è un libro strano, ambientato tutto in una navicella spaziale, dove accade molto poco, ma è un libro magnetico. Non parla di guerre, immigrazione o cambiamento climatico, non è didascalico come forse queste mie poche righe vi fanno sospettare, anzi, si occupa di raccontare le giornate di questi sei personaggi, che chiacchierano di un dipinto di Velasquez e del suo significato, che maneggiano topolini, che galleggiano tra le pagine come i corpi fanno negli ambienti della stazione spaziale.
E pensano anche alle loro ferite. Astronauti e cosmonauti (per la distinzione vi rimando alla lettura) osservano la terra su cui scorre la vita da cui sono esclusi: un matrimonio in crisi, la morte e il funerale di una madre, un fratello ammalato, una figlia che cresce.
Harvey ha scritto un romanzo lirico, sregolato e letterario che ci ricorda quanta bellezza risiede nella semplicità del nostro essere umani e quanta meraviglia nel nostro pianeta, con tutte le sue contraddizioni e ingiustizie. Leggendolo si sente nascere la volontà di proteggerlo, perchè è la nostra casa: “Questa cosa ospita noi umani, tutti presi a lucidare le lenti sempre più grandi dei nostri telescopi, che ci ricordano quanto siamo sempre più piccoli […] solo un ammasso vertiginoso di cose danzanti”.