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Il Figlio

Ma siamo ancora qui a parlarne? Autobiografia disegnata di Cloe Bissong

Giacomo Giossi

Il saggio della fumettista milanese tocca un sentimento comune d’inadeguatezza là dove la società sembra ancora incapace di accogliere una diversità che parte dal corpo e arriva fino al pensiero intimo delle donne. Un caos tradotto con un tocco grafico essenziale e scrittura felicemente provocatoria

Dopo anni di lotte culturali e battaglie femministe, dopo infiniti convegni, conferenze, feste e manifestazioni liberatorie e liberatrici ancora oggi è difficile ritrovarsi in pace e sentirsi pienamente donne libere, là dove il termine libertà si possa far coincidere con un sentimento del sé totalmente aderente e felice. 

"Ma siamo ancora qui a parlarne?" (Coconino Press) è un bellissimo saggio per appunti in forma grafica scritto e disegnato dalla fumettista milanese Cleo Bissong. Un’autobiografia disegnata che tocca un sentimento comune d’inadeguatezza là dove la società sembra ancora incapace di accogliere una diversità che parte dal corpo e arriva fino al pensiero intimo delle donne. Ma anche dove una spesso autoriferita produzione di montagne di testi - spesso difficili da scalare per la loro complessità e spesso astrusità - sul tema di genere e differenza sembra interessare solo chi ha già una piena consapevolezza del tema. Un caos che si traduce in un senso di inappartenenza e solitudine diffuso che Bissong traduce splendidamente con un tocco grafico essenziale e con una scrittura diretta e felicemente provocatoria. Ma siamo ancora qui a parlarne? prende sempre avvio da situazioni quotidiane da cui Bissong trae spunto per aprire la storia verso divagazioni teoriche, puntuali e mai prive d’ironia.

Impicci e imbarazzi diffusi costellano le giornate della protagonista, situazioni a tratti comiche, ma anche in alcuni casi fastidiose e dolorose. A partire da una giornata in palestra che si trasforma in un vero e proprio incubo nel confronto ossessivo con il corpo altrui e con uno stile dettato da un modo di vestire e quindi di apparire in cui la protagonista fatica a rispecchiarsi e a riconoscersi. 

Chi è dunque rimasto indietro? Si domanda, chi non sembra essere turbato da un abbigliamento totalmente riferito al desiderio maschile, ma sembra in qualche modo viverlo a proprio agio, o chi mettendo in discussione quel desiderio in nome di una scelta che non ne sia subordinata vive un disagio ancora totalmente irrisolto? 

La risposta a queste domande spalanca la narrazione, trasformando il fumetto in un viaggio coinvolgente negli studi di genere. Una stand up comedy che presenta da un palco la propria vita. Dall’infanzia ai nodi che ne hanno segnato la crescita e quindi le teorie che hanno accompagnato un pensiero che seppur ancora in cerca di casa raccoglie i pezzi sparsi di una legittimità sempre più urgente e necessaria. 

Il corpo è il centro di ogni discorso che capovolgendo l’ombelicale autoriferimento tipico di una cultura ripiegata e impigrita, si trasforma in quel centro del mondo da cui partire per comprendere gli altri e quindi se stessi. Un romanzo di formazione e di trasformazione in cui la crescita diviene il luogo e lo strumento per una consapevolezza che possa portare a una forma estremamente aderente al proprio sentire. Un obbligato ritorno a se stessi perché quel sé non lo si è mai per davvero potuto affrontare - e conoscere - così sommerso da vincoli e posture sociali.

Ma siamo ancora qui a parlarne? è un fumetto estremamente meditato e frutto di un lavoro che non vive solo di conoscenza e apprendimento teorico, ma anche di  un vissuto decisivo. 
La parola qui appare come un’improvvisazione mentre il tratto definisce e precisa. Il disegno come ritratto di un pensiero che finalmente trova quella leggerezza necessaria a sciogliere un dolore (e anche un piacere) troppe volte ritenuti indicibili. Il corpo di una donna raccontato, esposto e rappresentato nella sua irriducibilità, senza il bisogno di uno sguardo altrui (maschile) a commentarlo e a definirlo

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