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La quarta ondata femminista

Dalle suffragette all'attivismo online: i movimenti delle donne a confronto col potere

Raffaella Silvestri

"Il femminismo non è un brand", edito da Einaudi, analizza tutti i momenti e i modi in cui il movimento femminista si è scontrato, avvicinato o integrato a istituzioni, politica, capitalismo e potere. A partire dal movimento suffragista

Nel 2017, l’anno del MeToo – l’anno che spesso, erroneamente, facciamo coincidere con l’inizio della quarta ondata del femminismo ma che ne è piuttosto il culmine – uscì in America un libro miliare, Perché non sono femminista, di Jessa Crispin. In quel libro Crispin denunciava l’inefficacia e anzi l’insulsaggine del femminismo per quello che era diventato: un sentimento vago e inoffensivo, che potevano condividere tutti impunemente, e cioè senza rischiare né rinunciare a niente ma anzi guadagnando perfino un certo prestigio sociale in alcuni circoli – senza cambiare la realtà. È un libro che resterà nella storia perché per primo ci fece vergognare della mancanza di combattività che invece avevano avuto le nostre madri e vergognare di quel corteggiamento maldestro che il movimento aveva messo in atto nei confronti del potere, degli uomini, di tutte le persone che femministe non erano. Era il femminismo universale, il cui manifesto è il talk Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda Ngozi Adichie (2013) e la colonna sonora è Lemonade di Beyoncé (2016). 


Per tutte noi che pensavamo fosse stupido “trovare strategie per rendere il femminismo più appetibile a chi femminista non è”, quel libro fu una boccata di ossigeno, circondate com’eravamo da iniziative iper-educate che non portavano a niente: schedine social, libri ribelli dalle copertine fucsia, e influencer che promuovevano l’idea neoliberale del “se vuoi puoi, e se puoi allora sei femminista”. 
Questo è il contesto in cui si inserisce e di cui tratta Il femminismo non è un brand (Einaudi), l’ultimo saggio di Jennifer Guerra, giornalista e studiosa di femminismo. Ma questo libro è difficilmente contenibile nel suo titolo, perché non si occupa solo di pinkwashing – la pratica per cui qualsiasi impresa, anche la più egoistica, se ammantata dai valori di empowering ne esce in apparenza più nobile, più valevole – ma analizza in modo ampio lo stato del femminismo oggi. In particolare, analizza tutti i momenti e i modi in cui il movimento femminista si è scontrato, avvicinato o addirittura integrato alle istituzioni, alla politica, al capitalismo, al potere. A partire dal movimento suffragista, che necessariamente doveva dialogare, pur scontrandosi, con i parlamenti nazionali, con chi faceva le leggi – gli uomini – passando per le ong terzomondiste degli anni Novanta, fino all’attivismo online, senza il quale idee come consenso, e tutti i termini che nel corso della quarta ondata hanno dettagliato l’esperienza della violenza di genere, non sarebbero così diffuse fra le giovani. 


È un libro denso, ma anche sorprendentemente scorrevole se si considera che offre un quadro completo dei principali temi della lotta di genere oggi illuminandone potenzialità e problematiche. La prima parte contiene una breve storia del femminismo esposta con rara chiarezza. In generale la conoscenza che Guerra ha dei testi, delle autrici, della filosofia del femminismo è profonda; padroneggiare così bene la materia le permette collegamenti non scontati, e il tutto rende questo libro un’eccezione nel panorama della divulgazione. Quello che ci si aspetta dai prossimi lavori è una tesi, un punto di vista attorno a cui le varie considerazioni e gli studi riportati possano addensarsi. Se è nelle intenzioni dichiarate dell’autrice non offrire soluzioni, è anche vero che un saggio senza un chiaro punto di vista rischia di rimanere una literature review, e cioè un lavoro che include una valutazione critica del materiale, ma non un avanzamento del discorso. Guerra è una voce interessante del femminismo italiano, una studiosa che si fa domande e che starà maturando anche una visione che includa delle possibili risposte. 

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