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Il registro elettronico e la trasparenza con sottrazione di libertà

Annalena Benini

Quando fare sega a scuola era un’assunzione di responsabilità, e a volte andava male

Quando al liceo facevo sega a scuola (a Ferrara si diceva: facciamo fuoco), studiavo nei giorni precedenti i percorsi e gli orari dei miei genitori per essere sicura che non mi vedessero mentre passavo in bicicletta, e quasi sempre finivo dentro una biblioteca del centro, che era l’unico posto in cui credevo di essere al sicuro, e in cui infatti una mattina ho incontrato la professoressa di Greco, il mio incubo: mi ha fissato a lungo da dietro gli occhiali, mi ha salutato chiamandomi per cognome e il giorno dopo mi ha interrogato su tutto il programma – mi ha messo tre e mezzo, ma non ha mai detto una parola sulla biblioteca. Falsificavo la firma di mio padre nel libretto delle giustificazioni, tanto che anche adesso la mia firma sembra la firma di mio padre. Il trucco era fingere di perdere il libretto, in modo da avere più giustificazioni e più possibilità di convincere i genitori che stavamo andando a scuola regolarmente. Se poi ci credevano o facevano finta, io non l’ho mai saputo.

 

Ho recuperato quel tre e mezzo studiando di notte e non ho mai più dimenticato l’aoristo passivo forte, ma nemmeno il rumore dei passi dentro la biblioteca vuota e la pioggia in bicicletta con le sigarette in tasca, e poi quel bar con il retro pieno di fumo e di ragazzi con gli zaini a terra, ero molto fiera di quella specie di coraggio. Ho fatto sega, ho preso tre, ho detto una quantità di bugie allenandomi a sostenere lo sguardo, ho detto che ero in un posto e invece ero da tutt’altra parte. Di giorno e di notte.

 

A volte mi è andata bene, a volte malissimo. Ma adesso ho ricevuto per email le credenziali per i registri elettronici dei miei figli. Devo solo registrarmi e saprò tutto, praticamente mentre accade. Sarò lì in classe accanto a loro, visto che mi consigliano con grande enfasi di scaricare la app del registro elettronico sul telefono, in modo da avere tutto continuamente sotto controllo. Se prende tre e mezzo in greco, se prende una nota in ginnastica perché non sa saltare la corda, una nota perché ha dimenticato un quaderno, se hanno tantissimo da studiare o quasi niente da studiare, se c’è una verifica, se ha preso “meno” in matematica, se è segnata: assente, e però a casa non c’è. A quel punto che faccio? Vado in tutti i bar a cercarla? Mi servirebbero due microchip sottopelle per stare davvero tranquilla, di giorno e di notte. Per eliminare qualunque possibilità di bugie, di tradimento. E per togliere loro qualunque responsabilità, anche. La responsabilità era soltanto mia quando facevo sega a scuola, la responsabilità è di nuovo mia se adesso i miei figli fanno sega a scuola.

 

Perché la scuola ha il dovere di dirmelo, io ho il dovere di controllare e di essere al corrente di tutto ogni secondo, e quindi loro che doveri hanno? Nessuno. Neanche quello di inventarsi una bella bugia a cui avrò voglia di credere, neanche quello di recuperare il tre e mezzo che mi hanno tenuto nascosto. Non c’è libertà, e quindi non c’è neanche responsabilità. Libertà di fare un po’ come pare a loro, responsabilità di fare in modo che io non me ne accorga e non diventi una belva. E anche responsabilità nel guardarmi mentre mi raccontano una bugia e io li scopro e divento una belva, e tolgo tutti i telefoni, tutti i giga, tutti i soldi, tutte le chiavi, tutte le felpe, tutte le porte dentro casa. Il registro elettronico li ha resi così trasparenti che di nuovo devo pensare a tutto io. Così controllabili, che se mi dimentico di controllare è colpa mia. Tutta questa sottrazione di libertà da qualche parte dovrà sfogarsi, tra l’altro, e ho come l’impressione che ci andrò di nuovo di mezzo io, che invece ero perfino disposta a chiudere un occhio sulle sigarette dentro le tasche del cappotto, sul tre e mezzo recuperato, sullo zaino tutto bagnato di pioggia anche se adesso non piove per niente. Su un piccolo mondo segreto che deve restare segreto, perché è anche così che si cresce. E fare sega a scuola con il cuore in gola è molto più bello che restare a casa con tua madre che dice: però adesso mi aiuti a stendere il bucato. In ogni caso, adesso aiutami a stendere il bucato, sennò vado a controllare il registro elettronico.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.