La chiamata persa delle due e dieci del pomeriggio e altri disastri

Annalena Benini

Io rispondo sempre, lei mai. I tormenti telefonici di una madre e il problema del consenso

Mia figlia mi telefona ogni giorno, alle due e dieci. Esce da scuola, saluta questo e quello, poi mi chiama per dirmi se torna a casa, se va da un amico, se pranza fuori e se è felice o disperata. Se deve fare un modellino di centrale nucleare con il fil di ferro e l’ovatta entro sera, anche, e se invece ha litigato con una sua compagna e allora la giornata è rovinata.

 

Io alle due comincio a guardare il telefono aspettando che suoni, e se non suona lo prendo in mano e lo scuoto, e se non succede niente neanche scuotendolo, dopo un po’ telefono io. Ma ho promesso a me stessa di non diventare mia madre, quindi se lei non mi risponde io non mi lancio per le strade a cercarla. Aspetto, non richiamo subito, respiro, resto calma. Ma certo non mi è mai successo di non rispondere a una telefonata di mia figlia: a pranzo, in riunione, durante una lite, ai convegni, dal medico, in treno, in motorino, a un matrimonio, a un funerale, dentro una discussione importantissima sulla mia intera esistenza, io leggo il suo nome e rispondo. Se mi dicessero: ti basta una sola chiamata persa di tua figlia per diventare la regina del mondo, io direi: prima però devo rispondere, perché magari lei ha bisogno di un goniometro, di un ombrello, di un po’ di fil di ferro, e comunque non mi va per niente di fare la regina del mondo, con il mio telefono nelle mani di solerti segretari che filtrerebbero tutte le chiamate mentre io sto sul trono a torcermi le mani. Mia figlia invece vede il mio nome sullo schermo e si distrae, oppure non sente, si dimentica, ha il telefono scarico (deve aver ereditato da suo padre il cortocircuito silenzioso che fanno i loro telefoni quando a chiamare o a scrivere sono io). Mi dice proprio, prima di uscire la mattina: non lo so se mi ricordo di risponderti. A me sembra giusto: io sono la madre e rispondo anche mentre scappo da un palazzo in fiamme o scalo una montagna (sarebbe assurdo da parte mia scalare una montagna, a meno che arrivare in cima sia la condizione necessaria per poter rispondere al telefono), lei è la figlia e non ha tempo. Infatti io, che sono anche figlia, non ho mai tempo: mia madre ripete ogni volta che non le rispondo al telefono, ma stavo scappando da un palazzo in fiamme, stavo scalando una montagna, ero diventata la regina del mondo e dal mio trono d’oro non potevo rispondere.

 

Ma quando mia figlia si ricorda di telefonarmi, alle due e dieci, io capisco già dallo squillo se è allegra o triste. E da come dice: mamma, capisco anche come è andata la verifica di geografia: di solito molto male.

 

E se aggiunge: è stata una brutta giornata, significa che c’è di mezzo il mondo, gli amici, la strada, l’intervallo, il consenso, la vergogna: tutto quello che le importa adesso succede fra la gente, non fra noi abitanti della casa. Un suo compagno si è offeso per un invito mancato dopo il cinema e le ha detto: traditrice. Una sua amica l’ha accusata di averle dato informazioni sbagliate: per colpa tua non ho studiato l’Asia centro occidentale, le ha urlato, e non le ha parlato per un’ora, e io immagino mia figlia che dal banco dietro bisbiglia: Alice, ma non è stata colpa mia, e Alice non si gira nemmeno e lei si dispera più di me quando nessuno mi risponde al telefono. In quei momenti, io al telefono in cima a una montagna e lei per strada con la voce triste, mi ricordo di quando passavo il sabato pomeriggio a piangere se la mia amica si era dimenticata di me, e sentivo che quella dimenticanza investiva la mia vita intera, il mio futuro, la mia condizione nel mondo. E allora mi vendicavo con gli adulti dentro casa, con la faccia più buia che riuscivo a fare, perché se io ero dimenticabile era colpa loro che non mi avevano fatto indimenticabile.

 

Così mi preparo telefonicamente alla vendetta di mia figlia, sono pronta a incassare i colpi, in fondo sono qui in cima alla montagna cercando un po’ di campo solo per questo, ma lei mi richiama dopo tre minuti parlando velocissima perché deve assolutamente andare da Edoardo dall’altra parte della città, ci va anche Alice e hanno fatto pace, e se per favore quando vado a prenderla dall’altra parte della città le porto il fil di ferro per la centrale nucleare. Va bene, ma se ti chiamo almeno rispondimi, dammi l’indirizzo di Edoardo. Non lo so mamma, sono troppo impegnata, sono la regina del mondo.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.