Angelo Dall'Oca Bianca. Donna che cuce

Mia nonna cattiva

Simonetta Sciandivasci

L’amore che fa bruciare di senso di giustizia, e i libri di Bianca Pitzorno che cambiano la vita

Mia nonna cattiva è morta il giorno di Pasqua di qualche anno fa. Trova un prete il giorno di Pasqua, se sei bravo, e chiedigli se può dire una messa funebre il giorno che è risorto Gesù Cristo. Che disastro, nonna. Che fastidio. Una vita intera a essere inopportuna, guastafeste e manipolatrice. All’epoca, credevo ancora di non assomigliarle, o forse proprio non le assomigliavo. Forse cominci a essere simile a tua nonna quando tuo padre invecchia abbastanza da sembrarti indifeso, più indifeso del solito, e per difenderlo ci vorrebbe sua madre che però non c’è. Ci sei tu. E basta. E i libri che vorresti ti venissero in mente per aiutarti ad aiutare tuo padre, non ti vengono in mente, a parte Jonathan Franzen, l’impraticabile.

  

Alla protagonista del nuovo libro di Bianca Pitzorno va liscia solo una cosa, nella vita, e cioè sua nonna, che fa di lei una ragazza assennata e precisa, curiosa ed essenziale, capace e integerrima. Insegna a sua nipote a cucire e a difendersi dagli schifosi che fino a qualche decennio fa, in questo paese, in questo mondo, facevano alle sartine quello che i loro posteri fanno oggi alle massaggiatrici. La sola notte in cui sua nipote piange, il più possibile in silenzio, perché vorrebbe di più, vorrebbe tanto imparare a leggere e scrivere, ma più di tutto vuole non essere un’ingrata e perdersi in velleità, la nonna è sveglia e sente e capisce e il giorno dopo le annuncia che le pagherà delle lezioni, una volta alla settimana, perché di soldi ce ne sono pochi.

   

Mia nonna ha russato tutta la vita, figuriamoci. Quando è morta, accanto a lei c’era solo una delle sue figlie, quella alla quale non rivolgeva più la parola, da anni, nessuna deroga neanche per le feste comandate (in una famiglia coi preti a pranzo quattro domeniche al mese, cioè tutte le domeniche).

 

Tra le pagine chiare di questo libro di Bianca Pitzorno ci sono moltissime cose, oltre a una nonna che sa quando non deve addormentarsi: c’è che quando una donna trova un’amica non trova semplicemente un tesoro, ma un esercito; c’è che le nonne ti orientano anche se vanno via presto; c’è che l’amore si riconosce quando ti fa bruciare, certamente, ma bruciare di una cosa precisa che è il senso di giustizia. Mentre il travaglio la sta quasi ammazzando, Ester, una cliente delle sartine (nonna e figlia), sente suo marito dire al dottore di salvare il bambino e non lei. Lo sentono anche le sartine e la governante e l’ostetrica. Ci mettono pochi secondi a diventare esercito, a chiudere la camera da letto della signorina a chiave, tener fuori i maschi e farla partorire senza che nessuno muoia. Suo marito, l’uomo che più ama al mondo, Ester fa in tempo a cacciarlo via prima di svenire (“E ridendo svenne”: la chiusa più bella della più bella scena di parto che io abbia mai letto o visto al cinema, una roba che neanche “La casa degli spiriti”). Non vorrà mai più vederlo. Non gli rivolgerà mai più la parola per aver ceduto tanto presto e tanto facilmente, per averla ritenuta non indispensabile, per averla infilata in una scala di priorità e calcolato il suo valore e agito di conseguenza.

 

Forse possiamo (dobbiamo?) punire solo chi amiamo veramente perché ha la forza di sopportarlo. Solo Bianca Pitzorno poteva raccontare un momento come questo senza trasformarlo in un riscatto e rendendolo, invece, un fatto di giustizia.

  

Mia nonna cattiva ha avuto molte figlie e molti figli. Una le è venuta stronza. Càpita. L’ha mandata a Parigi per diventare sarta e le altre niente, tutte a casa. L’ha difesa. L’ha coccolata. Ha accettato che cambiasse fidanzato più di una volta. Neanche mai un muso per nessuno dei milioni di sgarbi e sgarri che ha commesso. Quando s’è capito che la figlia cattiva era sterile, ha fatto in modo che la figlia buona e piena di figli gliene cedesse uno. La figlia cattiva ne ha approfittato, naturalmente. E ha pensato che tutto il mondo si dividesse in schiavi suoi e schiavi di sua madre. Tutta la mia famiglia è stata ostaggio della fermezza di mia nonna cattiva nella difesa della sua figlia stronza. Guai a fiatare, guai a dirle che era sproporzionata, o pazza, o egoista, o ottusa, o cieca. Se non l’avesse fatto lei, chi mai avrebbe potuto? Se non ci pensano i genitori dei cattivi ad amare i cattivi, chi altri può farlo?

  

Io guardo mia nonna cattiva dalle pagine di una signora che scrive di donne che non le somigliano, perché possiedono un senso della giustizia lineare e fermo. Donne giuste che abitano negli unici libri di cui non sento imbarazzo a dire che m’hanno cambiato la vita (io non riesco a dire che Alice Munro mi ha cambiato la vita, però che Re Mida ha le orecchie d’asino mi ha resa chi sono sì, è vero, è così, è innegabile e sposerò solo chi accetterà che le eventuali figlie si chiamino Lalage o Prisca, due ragazze dei libri di Bianca Pitzorno). Guardo mia nonna cattiva da un libro piccolo e caro, e soltanto da qui vedo che per perdonare sua figlia cattiva ha dovuto punire sua figlia buona. Avrei fatto lo stesso.