Illustrazione “Death on Facebook” di Marcos Chin

Sette chiamate perse e il cuore in tumulto. “Sono stata sospesa”

Annalena Benini

I confini insuperabili, il mondo che cambia, lo stato di Whatsapp e niente più cavalli

Ho trovato sette chiamate perse di mia figlia, alle due del pomeriggio, ho pensato a un incendio, a un rapimento, al cane avvelenato dai vicini di casa. Mentre richiamavo con il cuore in tumulto pensavo: se è viva, mi va bene tutto, non mi arrabbierò mai più, anzi adesso le compro un cavallo, in fondo in cucina c’è ancora spazio. Lei ha risposto con la vocina dei disastri, ha detto per prima cosa: scusa mamma. Ma stai bene, sei a casa, sei ferita, sei svenuta, dov’è il sangue? Niente sangue: quindi stavo davvero per comprare un cavallo, uno di quelli piccoli. “Mi hanno sospeso da scuola ma con obbligo di frequenza, sei molto arrabbiata?”. A parte il sollievo di non dover comprare un cavallo, di non dover mai più pensare ai cavalli, che mi fanno paura perché hanno gli occhi laterali da psicopatici, più che arrabbiata ero sconvolta. Quando andavo a scuola io, sospendevano chi incendiava i banchi, intasava i bagni, fumava in classe. Hai intasato un bagno, hai fumato in classe, hai portato i fiammiferi a scuola? “No, ho postato una foto sul mio stato di Whatsapp”. Da poco ho scoperto che esiste lo stato di Whatsapp, me lo ha insegnato mia figlia, dura ventiquattr’ore, e tutti i contatti possono vederlo. Quando Benedetta ci ha raccontato tutta la storia, ho avuto per un attimo la reazione sbagliata: ma non ha fatto niente, ho pensato. La storia è questa (ma quanto sono felice di non dovere comprare, ma neanche adottare a distanza, un cavallo): durante l’ora di Scienze la professoressa ha lasciato ai ragazzi i telefoni per usare la calcolatrice. Loro in realtà li hanno usati anche per altro, cioè per fare quello che tutti noi facciamo sempre: foto, video. Ma in classe, di nascosto. Cose non offensive né bulle ma totalmente sbagliate: fotografano la professoressa di spalle, alla lavagna. Non si fa. Nel pomeriggio mandano tutte le foto e i video nella chat di classe. Mia figlia e altri, che non avevano il cellulare a scuola, ridono e si divertono e alcuni mettono una delle foto come stato di Whatsapp. Non è successo niente ma dopo un mese qualcuno si è autodenunciato, oppure un genitore ha denunciato, ma non è questo il punto: il punto è quanto sia difficile per loro, e in fondo anche per noi, capire che è sbagliato, quanto ci sfugge la differenza fra pubblico e privato, fra questo mondo e l’altro, quello in cui loro tra l’altro sono nati: tutti insieme su tutti i telefoni del mondo. Per loro, e un po’ anche per noi, è tutto possibile, tutto giusto, tutto fra noi amici per la pelle che ci instagrammiamo sempre.

 

Poi siamo stati convocati dalla preside: i genitori dei bambini coinvolti, dodicenni e tredicenni. Una madre aveva con sé l’intero fascicolo del regolamento scolastico, che aveva sottolineato e studiato, perché voleva difendere suo figlio (“non hanno le prove!”). Un padre diceva: chi sbaglia paga, tutta l’estate in punizione. Un professore parlava della differenza fra “condizione affettiva” e “condizione normativa”. Io resistevo alla tentazione (sbagliata! niente cavalli!) di fare un video e metterlo sul mio profilo Whatsapp. A casa, mia figlia a testa in giù sul divano, con il telefono scarico, pensava che gli adulti sono tutti pazzi. La preside ha fatto un impeccabile discorso sulla pericolosità dell’inconsapevolezza, io ho spento il telefono, la madre con il fascicolo sottolineato del regolamento scolastico è diventata piccola piccola, ha chiesto: ma la sospensione ha ricadute sul rendimento scolastico? I professori in coro hanno risposto: no. Ma devono capire, dobbiamo tutti capire, che ci sono dei confini insuperabili. Il padre ha detto: li avete messi sotto torchio per bene, eh?

 

Io sono tornata a casa con una fiducia immensa nella scuola pubblica, con un immutato terrore per i cavalli e per le madri, e con la necessità di spiegare a mia figlia il suo sbaglio. Lei annuiva, lo sguardo perso come se le stessi spiegando la Guerra dei cent’anni, e alla fine ha detto, con un barlume di speranza: ma quindi non vado a scuola? Sì che vai a scuola! Vi hanno sospeso con obbligo di frequenza, anzi prepara lo zaino, e niente cavalli! Allora mi ha guardato con gli occhi pieni di lacrime e ha detto: ma è orribile!

 

No non è orribile, è giusto, è serio, è un simbolo. E lei: ma se sono sospesa, vado a scuola, parlo, e nessuno mi risponde per tre giorni? Sono un fantasma!

 

Non sei un fantasma, ma niente cavalli e niente telefoni.

 

Provare a spiegare il mondo e non riuscirci quasi mai, che immensità.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.