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L'eroismo bellico del linguaggio calcistico

Mirko Volpi

Un Milan grigissimo bloccato da un Genoa in ritirata

Tra le metafore utilizzate nel sotto-codice del linguaggio calcistico tipico delle telecronache e cronache giornalistiche, e di tutto il chiacchiericcio ruotante attorno alle gesta pallonare, nonché – per evidenti ragioni d’imitazione – delle baldanzose dichiarazioni dei pedatori stessi, quelle più frequenti attingono all’àmbito della guerra.

 

Gli assalti, la difesa, la controffensiva, la retroguardia più o meno espugnata, lo stesso scendere in campo, certamente, e poi gli schieramenti, le trincee, i bunker, addirittura qualche assalto alla baionetta, per non dire di tattica, strategia, disposizione, avanzata, ritirata.

 

Dunque volentieri lessico e figure retoriche in uso nella lingua del football ricorrono all’affine sfera semantica dell’eroismo, dell’impresa guerresca compiuta da campioni e validi comprimari, guidati da sagaci e coraggiosi condottieri. Oggi che è il centenario di Caporetto, il m(od)esto corsivista rossonero avrebbe facile la similitudine, agevolissimo l’aggancio storico-pallonaro, e così già belle che pronte le sue tetre note.

 

Ma questo grigissimo Milan, sbiadito ai soli di un troppo caldo autunno, bloccato su un bolso zero a zero da un Genoa in, appunto, disarmo (dopo peraltro l’altrettanto bolso pareggio casalingo con i greci – anch’essi poco degni eredi di un Leonida o di un Alcibiade), ci priva persino della possibilità di scomodare la Disfatta per antonomasia, e di darci dentro con i sacri confini della Patria minacciati, la capitolazione cruenta, il vile cedimento dei battaglioni, l’abisso che prelude alla riscossa.

 

Ci sono preclusi la grandezza del crollo e il voluttuoso, amaro piacere del cantarlo. E’ tutto troppo modesto e insapore per farne epica, anche solo sfruttando pigramente il calendario delle ricorrenze.

 

Siamo così, uno zero a zero nemmeno di breriana perfezione, un “Niente da segnalare sul fronte meneghino”, un Piave che non mormora. E Montella, se non è (ancora) un Cadorna, è ben lungi dall’essere un Diaz.

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