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Il Bi e il Ba
Tutte le generazioni allineate su Gaza
L'avvicendarsi e il coesistere delle diverse generazioni segnano lo spirito di un'epoca, e Ortega y Gasset individuava quelle cruciali nei 30-45enni e nei 45-60enni. I primi sono invasati dal wokismo all'italiana, i secondi sono rimasti all'Intifada dell'87
Elias Canetti ricordava il significato originario della parola slogan presso i celti delle Highlands scozzesi: “Grido di battaglia dei morti”. E in effetti gli slogan urlati nelle piazze sono cadaveri ideologici di epoche sepolte che bramano, per riprodursi, cervelli giovani. Le piazze per Gaza non fanno eccezione, come ha notato ieri su queste pagine Andrea Graziosi, ed è ben triste vedere dei ragazzi presi in ostaggio da pensieri in putrefazione. Ma più del rapporto tra i morti e i vivi conta quello tra i vivi di diverse generazioni.
José Ortega y Gasset, che fu geniale teorico del ruolo storico delle generazioni, del loro avvicendarsi come del loro coesistere, diceva che a segnare un’epoca sono solitamente due fasce d’età: quella dei trenta-quarantacinquenni e quella dei quarantacinque-sessantenni. Se proviamo, senza troppe pretese, ad applicare lo schema alla sinistra filopalestinese di oggi, cosa constatiamo? Anzitutto che le due generazioni sono in accordo più che in contrasto (Ortega distingueva tra generazioni “cumulative” e “polemiche”). I trenta-quarantacinquenni hanno in testa le idee di quel “wokismo italiano”, derivativo e mediocre, di cui parlava Graziosi; e c’è solo da pregare che la moda passi. Per i quarantacinque-sessantenni è inutile perfino pregare. La loro iniziazione, e la loro prima kefiyah, risale al tempo dell’intifada del 1987, che hanno vissuto avendo in testa le parole d’ordine degli zombie brezneviani.
Le foto dei ragazzini che scagliano pietre contro i carrarmati stanno sempre lì, nel loro portafogli mentale, come perenne allegoria del conflitto. Tutto ciò che è successo dopo – l’ascesa dell’islamismo politico, le mire espansioniste dell’Iran – rimane, rispetto a quelle inquadrature, nel fuori campo: magari lo sanno, ma non lo vedono. Queste, mi pare, sono le due generazioni di vivi che segnano il nostro tempo. Un giorno, barcollando, tenteranno di mangiarsi i cervelli freschi di nuovi giovani. Speriamo che inciampino in una generazione polemica, pronta a ingaggiar lotta con l’esercito dei morti.